14 maggio 1943-14 maggio 2007: si allontana nel tempo il primo bombardamento subito da Civitavecchia. Una pietra miliare nella storia cittadina, un insegnamento per i giovani. Una memoria da non abbandonare alle celebrazioni d’occasione. Il primo pomeriggio di una giornata calda. Una città abitata da donne, vecchi e bambini. Gli uomini, i giovani sono lontano, sparsi per i vari fronti della guerra che continua a fare morti, a portare fame e stenti. La propaganda fascista non regge più. E’ tramontato miseramente il sogno africano, la guerra lampo ha mostrato la faccia della disperazione nella catastrofe della Campagna di Russia. Nelle famiglie si contano i morti. Le file, la caccia ai generi alimentari. Ma anche la borsa nera. Si allarga il solco fra ricchi e poveri, protetti dal regime e abbandonati a se stessi. Le bombe del 14 maggio del 1943 sono il colpo di grazia a chi continua a credere, a crederci, nonostante tutto. Il bombardamento coglie tutti di sorpresa. Le testimonianze parlano dell’impreparazione di una contraerea improvvisata, con scarsi mezzi, che comunque non avrebbero potuto colpire le fortezze volanti americane. Poca gente in giro per la città. E’ presto, molti riposano a casa. C’è qualcuno che aspetta per entrare al cinema Italia. Qualche gruppo di ragazzi passeggia sulla terrazza a mare. Poi il rumore degli aeroplani, sempre più forte. Increduli i testimoni. Molti pensano al passaggio di aerei diretti a nord. Invece le fortezze volanti colpiscono prima il porto, poi la città alle sue spalle. E’ l’inferno. E’ la guerra. Quella che ti entra in casa, che colpisce nell’intimità, che non uccide i soldati e non guarda in faccia a nessuno. Molti morti. Il porto distrutto. Una colonna di fumo e di polvere che oscurerà a lungo il cielo. Lamenti, grida. Si contano i primi morti, si tenta di soccorrere i feriti. Chi è fuori casa per lavoro corre a ritrovare i propri cari. Una corsa con il cuore in gola, fra lo sgomento e la disperazione, con le macerie dappertutto, altre persone che corrono nella confusione e nel disorientamento generale. Un cavallo che nitrisce a terra sotto le macerie, una madre con il bambino stretto al collo che chiama il marito che non trova. Una ricerca disperata che si concluderà dopo alcune ore nell’incontro più bello, nel ritrovarsi. Una storia a lieto fine che molti non conoscono, non potranno assaporare. I cadaveri scomposti, ammassati, sfigurati sui carretti diretti al cimitero. Un pianto, le urla di chi ha scoperto il proprio fratello sepolto sotto le macerie del proprio negozio, al porto. Polvere e fumo, puzza di benzina. Animali in fuga. La notte che si avvicina. E il domani che non è più quello di ieri. La guerra è arrivata col suo tallone di ferro. Ha colpito, distrutto e cancellato. Ma non è finita. Una lunga teoria di disperati, abbracciati per sentire il calore che manca, che per molto tempo non ci sarà più. Tutti verso la collina: la Cisterna, i Cappuccini. Lontano, più lontano possibile. Il dolore di lasciare la propria vita, la casa, di chiudere per sempre una stagione. E’ la prima tappa dello sfollamento. La città distrutta e abbandonata, dove rimangono a lavorare gli uomini dei servizi indispensabili: porto, stazione ferroviaria, molino. La città che verrà ancora colpita a morte dai due feroci bombardamenti inglesi nello stesso giorno d’agosto. E poi altre bombe, mitragliate. La guerra è la guerra. I liberatori, sono quelli che hanno bombardato, che hanno ucciso e distrutto con i grappoli di bombe lanciate dai razzi delle fortezze volanti, che non conosceranno mai le facce, le sembianze delle vittime. Strano destino. Una storia spezzata. Una città in ginocchio. Un’identità che non sarà più ritrovata.