Nel 2017 a Civitavecchia la pressione del fisco, calcolata su un reddito d’impresa di 50mila euro, si attesta al 62,8 per cento, con un + 0,2 rispetto al 2016 e oltre un punto sopra la media nazionale che è del 61,2%. E’ il risultato di una indagine condotta dall’Osservatorio Permanente della Cna sulle piccole e medie imprese, che vede Civitavecchia al 97° posto tra i comuni nelle quali si pagano meno tasse. Nella nostra città la tassazione si abbassa al 60,5% solo nel caso delle aziende che hanno optato per l’Iri, l’imposta sul reddito d’impresa.
Lo studio della Cna, presentato questa mattina a Roma, basa la sua analisi sull’impresa tipo italiana con quattro operai e un impiegato, ricavi per 431mila euro e costi per 381mila, che utilizza un laboratorio e un negozio. Dall’analisi emerge che a Civitavecchia, dopo l’inversione di tendenza del 2015, quando si era rilevato un calo delle tasse del 3,5 per cento per effetto soprattutto della deducibilità completa dall’Irap del costo dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, nulla è cambiato. Nel dettaglio, l’incidenza dell’Irpef e dell’aliquota Ivs è pari al 39,4, delle imposte regionali al 7,2 e di quelle comunali al 16,2 per cento. Insomma, per la Cna nel 2017 l’imprenditore di Civitavecchia dovrà lavorare fino al 16 agosto, ovvero 229 giorni, per liberarsi dell’ingombrante “socio” fisco, solo 136 per i consumi personali. Scandendo la graduatoria nazionale, che vede Trento come la città dove si pagano meno tasse, la maglia nera va a Reggio Calabria, con il 73,4%, preceduta da Bologna con il 72,1% e da Roma con il 69,3%. Per Alessio Gismondi, presidente della Cna di Civitavecchia, è sconfortante vedere che, dal 2011 ad oggi, si è verificato addirittura un aumento della tassazione complessiva dell’1,9 per cento, con un significativo incremento per Irpef e Ivs e per i tributi comunali e in quest’ultimo caso viene versato il 5,5 per cento in più per servizi che non funzionano. Tra le ricette suggerite dalla Confederazione Nazionale dell’Artigianato per invertire la tendenza, quella di ridurre la tassazione sul reddito delle imprese personali e sul lavoro autonomo, utilizzando le risorse provenienti dalla spending review e dalla lotta all’evasione e prevedendo riduzioni automatiche all’aumentare del reddito dichiarato rispetto a quello ideale suggerito attraverso i nuovi indicatori sintetici di affidabilità. Inoltre, rendere l’Imu pagata sugli immobili strumentali delle imprese completamente deducibile dal reddito d’impresa, trasformare le detrazioni relative a spese per lavori edili in crediti d’imposta cedibili agli intermediari finanziari e definire il concetto di insussistenza di autonoma organizzazione per non assoggettare i soggetti all’Irap e aumentare la franchigia Irap ad almeno 30mila euro. Andrebbero poi rivisti i criteri per l’attribuzione dei valori catastali degli immobili, al fine di allinearli periodicamente ai valori di mercato a invarianza di gettito e agevolato il passaggio generazionale delle imprese individuali tramite la completa neutralità fiscale delle cessioni di azienda.