Sulla crisi di maggioranza si registra un lungo intervento – amaro ma molto ironico – del rpofessor Nicola Porro, consigliere comunale del Partito Democratico. Cliccare per leggere il testo integrale del'intervento.
"Moscherini un anno dopo. A dodici mesi da una vittoria che fu netta nei numeri quanto ambigua nel suo disegno politico. Ambigua già negli slogan elettorali: larghe intese, Grande Coalizione, ‘diamoci da fare’. In realtà, il cartello moscheriniano non aveva nulla a che vedere con la filosofia delle larghe intese. Una formula coniata trent’anni prima per favorire l’ingresso di un forte Pci nell’area di governo isolando le destre e cercando così di risolvere la crisi di governabilità del vecchio centrosinistra. Il richiamo alla Grande Coalizione costituiva addirittura una contraddizione in termini. Si trattava di un’esperienza circoscritta al sistema politico tedesco come risposta eccezionale all’assenza di una maggioranza parlamentare. Un’intesa di governo basata sul patto di ferro fra i due partiti più grandi con l’esclusione delle forze minori e delle estreme. Larghe intese e grandi coalizioni, per giunta, non sono mai state programmi elettorali bensì risposte post-elettorali a situazioni di necessità. Da noi furono trasformate in slogan utili a rendere fotogenico un cartello elettorale fondato sul matrimonio d’interesse fra centrodestra e transfughi di varia provenienza. Alcuni di questi erano già organici da anni alla leadership moscheriniana. Altri, di reclutamento più recente, nutrivano una così radicata identità di sinistra da transitare nelle file del centrodestra al primo stormir di rimpasto.
Elettoralmente efficace fu l’appello al ‘diamoci da fare’. Pochi curiosi si azzardarono a domandare per cosa bisognasse darsi da fare, con quali obiettivi, priorità, interessi. Furono immediatamente zittiti e iscritti d’ufficio nella lista nera dei nostalgici del vecchio regime. Lo slogan acchiappacitrulli ebbe successo perché parlò a un elettorato disorientato la lingua dell’antipolitica, alimentando una reazione di rigetto per la politica che non era obiettivamente priva di ragioni. L’uomo del fare apparve la novità, noi le vestali della continuità. A fare da cemento la personalità di un leader che si proponeva come uomo dell’azione e della concretezza, sbandierando un curriculum maturato in contesti lontani anni luce dalla faticosa e paziente gestione di un governo locale. Un anno dopo l’uomo del fare si scopre un re travicello in balia di tutti gli egoismi e le liturgie della vecchia politica. Circondato da pretoriani voraci e da cacciatori di pennacchi, è costretto a confessare di aver consumato un anno solo per fare una ‘ricognizione’ sui problemi della città. Nei corridoi del Comune c’è chi invoca l’eutanasia e chi organizza scommesse sulla sopravvivenza dell’amministrazione. La Grande Coalizione è quella cosa lì: un mosaico scombinato di gruppi, sottogruppi, notabili riciclati, pendolari dell’incarico. Appesa alle esternazioni di qualche padrinazzo romano dei partiti di governo pronto a sfoderare il cipiglio a tutela del proprio concessionario locale. In un’orgia di rimpasti annunciati, disdetti, rinviati, minacciati e promessi. Bisognava aspettare il governo nazionale, che diamine (hai visto mai facevano ministro De Marco)! Le larghe intese trasformate in lunghe attese, consumate nelle anticamere dei padrinazzi romani. Altro che Prima repubblica: aridatece Sbardella!
Purtroppo, però, c’è poco da scherzare. Il collasso dell’Amministrazione non minaccia solo quella ripartizione di pennacchi e prebende che sembra l’unico argomento capace di appassionare gli amministratori di maggioranza. C’è una città che langue ostaggio dei poteri forti, più prepotenti che mai da quando hanno capito che dall’Amministrazione arriverà solo la richiesta di una manciata di soldi. Denaro pronta cassa (o quasi) in cambio della rinuncia a decidere sulla salute, lo sviluppo, l’occupazione. Civitavecchia continua a precipitare nei dati occupazionali regionali. L’imminente chiusura dei cantieri Enel produrrà nuove difficoltà a imprese e lavoratori. Il precariato dilaga nel mondo giovanile. La qualità dei servizi alla collettività declina. E ancora: non un solo passo avanti è stato compiuto per intercettare a beneficio del commercio e del turismo locali la marea di risorse mobilitata dalla crocieristica. L’annunciata stagione delle opere pubbliche si traduce in contenziosi legali e trovate estemporanee in assenza di progettualità. Professionisti autorevoli, per fare un solo esempio, cominciano a chiedersi se non sia meglio riaprire la trincea ferroviaria anziché partorire un mostro urbanistico. Intendiamoci: governare Civitavecchia non è impresa facile. Il nostro è il classico caso di un’asimmetria di potere fra grandi sistemi di interesse e debole rappresentanza politica. La città e il comprensorio hanno conosciuto una terziarizzazione accelerata che ha scomposto e indebolito ceti produttivi e forze sociali.
La politica si è da tempo parcellizzata, personalizzata, meridionalizzata. L’ingovernabilità amministrativa è ormai la fisiologia del sistema. Neppure un frettoloso ‘tutti a casa’ costituisce però una risposta sufficiente e adeguata alla gravità della situazione. E mi pare inquietante che si consideri uno strumento usuale di lotta politica la strategia delle imboscate e il mercato delle firme. Chi ha combattuto a viso aperto e in tempi non sospetti il trasformismo e i trasformisti ha il dovere di rilanciare una riflessione politica sul futuro dell’Amministrazione e della città. Bisogna portare nelle sedi istituzionali ragioni e responsabilità della crisi. Bisogna approfondire con l’opinione pubblica la critica del moscherinismo come risposta sbagliata a problemi reali. Senza nascondere le responsabilità di forze e personaggi del centrosinistra che avevano condotto al disarmo il proprio schieramento. E senza aspettare la salvezza dai giri di valzer di qualche voltagabbana. Quello che non possiamo permetterci è un dopo Moscherini consegnato a vecchie combriccole di riciclati e a sirene ammaliatrici, altrettanto inconcludenti e pericolose di quelle che abbiamo sperimentato".
Nicola Porro