Una tiepida serata primaverile e tanta gente a fare ala al corteo interminabile che racconta la passione e la morte del Cristo. Una tradizione che si rinnova, la Processione del Venerdì Santo, fra le emozioni del momento e le sensazioni che rimangono. Attenta e curata, come sempre, la preparazione e l’organizzazione curate dall’Arciconfraternita del Gonfalone e dal suo priore Gianni De Paolis alle prese con i cambiamenti della viabilità e con il numero sempre crescente di penitenti.
Duecentoventiquattro è il numero ufficiale degli incappucciati: il culmine emotivo della Processione, il momento più vivo e toccante. Sotto il peso delle croci, con le pesanti catene da trascinare, accompagnati dalle note struggenti della banda musicale, i penitenti hanno portato la loro pena e il sacrificio con un significato che va ben al di là dei numeri e delle prove di resistenza. Perché la Processione è un rito di tutti, anche di chi si stringe e si alza sulla punta dei piedi per poterla seguire. Una storia raccontata per quadri con le statue che scandiscono il crescendo della Passione fino al sacrificio estremo. I figuranti, i portatori delle statue, i fedeli e il clero. E quest’anno, per la sua prima volta, davanti al carro del Cristo Morto il nuovo vescovo monsignor Luigi Marucci che, poco prima, nella chiesa della Stella aveva confessato i penitenti. Un segnale importante che dà nuovo ad una tradizione antichissima che si ripete, ogni anno, con rinnovata energia fino all’applauso finale che accoglie la risalita del carro del Cristo alla chiesa della Stella, e dà il segnale della festa che si avvicina, della Resurrezione e della Pasqua.