“Si tratta, a prima vista, di tre entità, tre realtà, tre categorie descrittive che viaggiano su binari distinti, aventi sicuramente aree di contatto, ma neppure troppo estese. Approfondendo ci si accorge che non è così. In base al Testo Unico che definisce le competenze degli enti locali – e qui parliamo di quelli per eccellenza, cioè dei Comuni, esse sono le più elementari, si incentrano su quei settori d’intervento con i quali aderiscono ad una realtà composta di una città e il suo territorio fornendo alla popolazione i servizi di base e favorendone la partecipazione alla vita pubblica anche attraverso la promozione delle attività culturali e ricreative, il lavoro, la formazione professionale”.
“Dando dimostrazione, nell’assolvere ai compiti istituzionali, di voler riscuotere presso i cittadini, in ragione della loro vicinanza alle esigenze della vita di tutti i giorni, un consenso maggiore di quello goduto dalle autorità più “lontane”, insediate a livello superiore o al centro.
Vasti e risaputi sono i compiti che riguardano in particolare questi enti pubblici territoriali, che si autogovernano e amministrano autonomamente gli interessi locali della propria popolazione soggiacendo al controllo dello Stato e delle sue articolazioni. Vale la pena citarne alcuni, come i trasporti pubblici, la disciplina del traffico, la costruzione e manutenzione delle strade locali, la gestione dei rifiuti, l’approvvigionamento di elettricità, gas e acqua, le fognature, i depuratori, la disciplina urbanistica, l’edilizia abitativa, la istituzione e manutenzione degli asili nido, delle scuole materne, elementari e medie, i trasporti e le mense relativi, i teatri, gli spazi espositivi, le biblioteche, le attività e i beni culturali, i tribunali, gli impianti pubblici di ogni genere, le pubbliche affissioni, la polizia mortuaria e i cimiteri, l’organizzazione dei mercati, la sanità, la sicurezza pubblica, l’igiene (sia del suolo che di scuole, mense, impianti sportivi, alimenti e bevande), le farmacie comunali. Ma l’elenco è ovviamente più lungo, perché comprende ulteriori funzioni esclusive, concorrenti o di sostegno, o delegate da regioni e province.
Quanto alla qualità, quelle che gli sono riservate sono a prima vista, secondo la più diffusa accezione, le incombenze ordinarie, quelle solitamente ritenute “minori”. Ma per meglio entrare nel merito dell’importanza e della dinamica dei compiti molteplici e complessi che sono demandati ai Comuni e che questi in effetti svolgono è opportuno aprire – soprattutto nella circostanza del rinnovo dell’amministrazione comunale – una breve riflessione sulla vita urbana e il senso che essa ha assunto col trascorrere del tempo. Che ci induce a considerare che la città si è costituita come centro di potere più o meno autonomo, come spazio dell’integrazione sociale e culturale, è stata il luogo sicuro e protetto dalla violenza della natura e degli uomini – ubicazioni, posizionamenti e cinte murarie ce lo attestano – in cui persone diverse entravano in contatto tra loro, si conoscevano, scambiavano le parti migliori delle proprie conoscenze e della propria cultura. Un luogo dove si svolgeva un processo di ibridazione che produceva nuove identità, nuovi soggetti e nuove idee, magari accentuando le disuguaglianze, distinguendo e separando i ricchi dai poveri, emarginando ed escludendo gruppi etnici e religiosi, attività e professioni.
In definitiva, questo breve sguardo che abbiamo rivolto al passato ci fa meglio intendere la natura che le vicende storiche hanno tramandato e assegnato al Comune attuale. Nel quale sopravvive sicuramente l’essenza della struttura materiale, della cultura, della mentalità, dell’atteggiamento dell’istituzione di un tempo. Guardando all’Italia, queste oltre ottomila cellule variegate e dinamiche, i comuni, sono costitutive di un organismo molto più ampio che si chiama Stato. E da noi, i comuni, nell’assolvere ai tanti compiti istituzionali che abbiamo succintamente richiamato, svolgono in realtà un compito non solo importante ma privilegiato che spetta loro da sempre, che consiste nel tenere accesi con la propria attività amministrativa, che solo a uno sguardo superficiale può apparire di poco conto, i motori interni della civiltà attuale.
Per meglio dire, sono i Comuni dei tempi che viviamo che lavorando intensamente e accortamente sugli aspetti elementari della vita civile gettano le basi e determinano un effettivo miglioramento delle condizioni di esistenza delle città: in altri termini è proprio attraverso un’attenta e lungimirante attività amministrativa che essi svolgono un ruolo che riveste un grosso significato politico. Affrancando gli uomini, i cittadini, dalle incombenze, dai bisogni, dagli ostacoli e dagli intralci della vita quotidiana, dalla serie di difficoltà cui altrimenti andrebbero incontro, li rendono disponibili ad aprire nuovi spazi al pensiero, a interessi di ogni genere, alle occupazioni intellettuali, a condurre un’esistenza improntata a valori che superano il contingente. Noi socialisti siamo convinti che giunti al punto in cui siamo, stante l’importanza decisiva del ruolo svolto, a livello di comuni il traguardo della stabilità governativa, pure auspicabile, non basta più: occorre un impegno programmatico autentico, protratto continuativamente oltre i limiti temporali di ciascuna consiliatura, un’azione concreta e fattiva che permetta di incidere, elevandolo, sul livello di civiltà dei cittadini, che si connota di stili di vita evoluti e di comportamenti improntati a cortesia, urbanità e gentilezza. Un processo che passa, ineludibilmente, per il miglioramento degli standard dell’educazione/istruzione, e quindi si protende verso la realizzazione di una cultura diffusa, testimoniata da una conoscenza più profonda, da un’organizzazione gerarchica dei saperi e dei valori e da un progressivo consolidamento della creatività. E se per cultura non può che intendersi il complesso delle conoscenze intellettuali che un individuo rielabora e approfondisce organicamente, così da appropriarsene inserendole nel processo di formazione della propria personalità, dobbiamo considerare che il concetto è comprensivo anche di altri importanti aspetti che attengono, oltre all’essere istruito, all’essere educato e ingentilito sotto il profilo spirituale in senso lato e artistico in particolare. E’ per questo motivo che ai tempi d’oggi tra le molteplici attività umane delle comunità cittadine – dove il termine cittadino, ricordiamolo, per sua stessa definizione implica per quanto abbiamo in precedenza considerato, anche disinvoltura e raffinatezza di modi e consuetudini di vita – assumono un ruolo sempre più importante quelle inerenti all’ambito culturale. Che hanno un risvolto economico che si connette strettamente all’attività economica tradizionalmente intesa, a cominciare dal versante della gestione del patrimonio artistico e monumentale, il cui peso simbolico in conseguenza del generale elevarsi della qualità della vita, è divenuto notevole, tanto è vero che esso è oggetto di un culto tutto sommato popolare anche se talvolta tarda a trasformarsi in concreta, fattiva e costante attenzione, in altri termini in vera e propria cura. Il costante aumento fatto registrare dai cosiddetti consumi culturali rappresenta anche in Italia il preludio al consolidarsi di un’autentica economia della cultura. Termine che investe sia le arti dal vivo, sia l’industria culturale, sia il patrimonio artistico-architettonico-monumentale-archeologico-paesaggistico nella sua interezza. Con un capitolo a parte, essenziale per la sua determinante rilevanza, quello delle accademie e delle scuole d’arte. Un’economia importante, anzi notevole, quella della cultura – sicuramente un po’ particolare, pervasa com’è da valori e gerarchie immateriali. Un settore comunque multiforme, la cui valenza patrimoniale e quindi economica, che vede la cultura come fattore di sviluppo, si evolve e cresce quando prende corpo e si sviluppa una coscienza condivisa, una convergenza d’intenti tra i vari soggetti che vi esercitano le proprie competenze e comunque vi incidono: istituzioni pubbliche e private ivi compresi le accademie e i conservatori, galleristi, collezionisti, gestori di case d’aste, antiquari. E’ da dire che un po’ tutti i Comuni, anche per le difficoltà derivategli dalla scarsità di risorse finanziarie causata dalla crisi economica, sembrano adesso più decisi a promuovere una significativa autonomia finanziaria degli istituti culturali, spingendoli verso un più diffuso ricorso al mecenatismo, all’incremento di entrate proprie quali gli ingressi a pagamento, le caffetterie, la vendita di prodotti derivati, massimamente i cataloghi. E’ così che dobbiamo fare anche noi. Soltanto obbedendo a una tale impostazione è possibile attivare anche un lavoro sistematico di valorizzazione e recupero dei beni culturali in senso lato.
In realtà, quando ci si dirige verso consistenti investimenti in cultura – e ciò va affermato con chiarezza anche se i tempi attuali sono poco propizi – si effettua una scelta strategica di rilevanza fondamentale, basata sulla funzione educativa che svolgono questi beni sociali irriducibili, in cui peraltro, in base a dati incontrovertibili, la spesa genera ritorni economici, sicuramente superiori all’investimento, anche se non immediati. Una politica di valorizzazione e recupero del nostro patrimonio monumentale, architettonico e artistico una volta perseguita con convinzione e costanza può trasformare la nostra città in un cantiere fervente di attività molteplici. Tale da procurare una inversione di rotta e assicurare, nel novero degli obiettivi di politica pubblica che programmaticamente l’amministrazione comunale si prefigge, un aspetto molto importante del cosiddetto benessere della comunità civitavecchiese”.
PSI – Il committente responsabile Francesco Castriota