La corona in testa, i movimenti lenti, la figura imponente, la voce forte e profonda. È niente più che un ricordo sbiadito Salvo Randone, Enrico IV pirandelliano che si muove sulle assi rumorose del palcoscenico del Traiano. Un raro matinée per le scuole superiori, qualche ora di festa, lontani dalle interrogazioni e dalle interminabili e, spesso, noiose lezioni. E questo clima di spensierata euforia infastidì non poco il grande attore, visibilmente contrariato e determinato a chiudere al più presto la sua rappresentazione fra il brusio generale e l’immancabile, micidiale scricchiolio dei sedili del teatro.
Del resto il Traiano da tanti anni di teatro aveva soltanto l’etichetta: era un cinema per famiglie con i pienoni del sabato e, soprattutto, della domenica, all’insegna dei kolossal e dei cinepanettoni d’allora. E il sipario si apriva quasi esclusivamente a metà settimana per il film seguito dal varietà. Ma anche in questo caso dei Totò, dei Rascel, dei Macario c’era rimasto ben poco. Sulla stretta passerella sfilavano ballerine spesso sgraziate e rotondette, un po’ volgari, con le calze smagliate, che accennavano qualche improbabile passo di danza. E poi c’erano i comici con le barzellette stantie, farcite fino all’inverosimile di doppi sensi e di volgarità. Militari e ragazzi, e molti anziani: questo era il pubblico plaudente, che si accontentava di lanciare battute e provocazioni alla sgangherata compagnia di turno. Niente di più, niente di meglio. Era il teatro della Piccola Città con rarissime, occasionali eccezioni, in cui le compagnie di prosa dovevano misurarsi con gli spazi angusti del palcoscenico, con i camerini fatiscenti, con un parco luci davvero scarso. Anche in questo caso andrebbe fatta una sincera e realistica revisione sui bei tempi andati. Ma quali? Ma dove? E, anche in questo caso, i cittadini della Piccola Città dovrebbero andare fieri del presente e guardare con fiducia al futuro. Eh sì, perché con una scelta coraggiosa la lenta agonia del Traiano fu interrotta bruscamente: il teatro alla città. Certo ci sono voluti vent’anni fra intoppi burocratici, fondi stanziati a singhiozzo, sindaci e assessori, per arrivare alla riapertura. Non un’eccezione, ma la regola per la realizzazione di opere pubbliche nel Belpaese: basti pensare alla vicenda parallela del Carlo Felice di Genova. Del resto gli abitanti della Piccola Città, borbottoni e spaccamondo a parole, hanno sempre dimostrato una grande pazienza e un invidiabile spirito d’adattamento. In mancanza di meglio, nel secolo scorso, andava più che bene per il popolino affollare il Politeama “Giacinto Guglielmi”: un ordine di palchi abbastanza comodi, situati sopra una fila di barcacce e due ampie platee. Era stato costruito in prossimità dell’area dell’angusta piazzetta all’ingresso del porto dove nei giorni di festa si esibivano all’aperto le sciantose del café-chantan e del can-can. Anche qui cinema con Tom Mix e spettacoli di varietà con il “Fox delle piume” di Anna Fougez, senza dimenticare Cacini e le operette con la compagnia di Nanda Primavera, come ricordavano un paio di “vecchi” in alcune registrazioni audio-video di TRC che spero di riproporre. Meno conosciuta, ma puntualmente citata nell’album dei ricordi della memoria di TRC, la Sala Claudia, che si trovava nella piazzetta da cui si raggiungeva la Calata, di fronte al molo Sardegna. Anche qui cinema e varietà con la mossa, fino a tarda sera, e solo per un pubblico maschile. A gestirla erano i fratelli Marra, gli stessi del “Leopoli”. Il capannone col tetto di lamiera che, quando pioveva, faceva un rumore infernale, sorgeva nella piazza della Vista; i popolari sedevano sulle panche di legno. Un ricordo, purtroppo non registrato, mi rimanda ai racconti delle vecchie sedute a sferruzzare o a capare le erbe sulle sedie fuori dai bassi della Terza Strada. A bocca aperta ascoltavo del Teatrino dei Paladini della Seconda Strada, gremito dalla gente di mare: pozzolani con le loro famiglie (e l’anziana rievocatrice era di questa razza), e marinai sbarcati in porto. La donna, soprannominata “La Catalana”, ricordava lo scialo del castagnaccio caldo caldo dal castagnaccino della scenta della Stella e la cerimonia dell’omaggio dei capibarca a santa Fermina, la domenica mattina nella chiesa di santa Maria, prima di riprendere il mestiere del mare, vestiti da festa, una volta tanto con gli zoccoli, perché andavano sempre scalzi. I ricordi, la minuta letteratura orale e popolare, mi ha preso la mano, ma non mi ha portato lontano dal concetto che ho già espresso: proprio guardando con affetto e simpatia al passato occorre tenersi forte il presente e costruire un futuro sempre migliore. È il caso del Traiano, destinato a un lento e inesorabile declino, salvato, preso letteralmente per i capelli, che ora, “più bello e più superbo che pria”, rischia però di imboccare la vecchia strada della sopravvivenza, con il pilota automatico inserito, un bando annunciato, e poco più.