Prima dell’inizio del film in programmazione, alla Sala Buonarroti, in un cinema come si deve: pulito, riscaldato, spazioso e, soprattutto, con un pubblico competente che sceglie e non entra per abbonamento o gratis secondo la deriva cittadina; ai Salesiani – dicevo – compare sullo schermo una sigla coloratissima con palle rotanti, musica di sottofondo molto forte e la voce che invita gli spettatori ad un comportamento adatto all’occasione. In americano, con sottotitoli italiani. Questo per dire della colonizzazione, anche linguistica, che va ben oltre le altre nazioni europee.
Si sprecano gli okkkkei, gli happy hour, i briefing anche quando esistono parole semplici, italiane. Nessuna nostalgia per la tragicomica italianizzazione autarchica del ventennio con il bar che divenne mescita e il cocktail bevanda arlecchina: solo una costatazione di decadenza, di calata di brache. Ma nel caso di una parola, americana, che sembra riguardare molto da vicino la Piccola Città, non è un danno: perché quando la leggi o ti arriva all’orecchio nasconde il suo peso, la sostanza. Default, è la parolina che ho sentito ripetere durante la trasmissione di TRC Diritto di Replica. Ospiti due brave persone, normali e competenti che hanno spiegato come ci sia il rischio reale di questa default da parte del Comune. Che vuol dire, in italiano, insolvenza, non avere i soldi per pagare, e chiederli ai cittadini. Ma non per sistemare la Marina che rischia di sparire, magari rifare qualche strada nello sprofondo delle buche, qualche tubatura dell’acquedotto ridotta a colabrodo. Niente di tutto questo. I soldi servono per pagare il “dovuto” che puntualmente bussa al portone del Pincio e non sente ragioni. Come l’impiegato terzamedia sessantamila euro l’anno che non si sogna nemmeno lontanamente di autoridursi lo stipendio, stabilito, come tanti altri, nella stagione della cuccagna. Così hanno spiegato pacatamente i due ospiti in studio, che hanno pure detto che ci sono precise responsabilità: gli autori del saccheggio. In una realtà normale, non quella all’acqua di rose del Bel Paese e, di conseguenza e forse più, della Piccola Città qualcuno pagherebbe. Ma qui non succederà: gli unici a pagare saranno i cittadini con nuove tasse, a meno che il Comune non vada ad accattonare da qualche sponsor con qualche buona ragione, per ottenere entrate extra, necessarie a tamponare il buco. Pensate forse all’Enel? Sarebbe una soluzione, ma non è proprio aria con questa giunta che, prima o poi, e speriamo mai, dovrà alzare il coperchio delle D, insolvenze. Dalla spiegazione molto lucida dei due ospiti, dalla ricostruzione dei fatti, mi è venuto un grande sconforto, un senso di impotenza e di decadenza infinita. La stessa che ho provato trovando sbarrate, sotto casa, le vetrine del centrobenessere, subentrato alla chiusura del blockbuster, e quelle del fioraio all’angolo di via Buonarroti, vicino ai Salesiani. Fortuna che c’è il cinema, appunto dei Salesiani, per guardare in fondo alla sala la magia della luce che ti porta per mano nel mondo con le sue storie e la sua affabulazione. Verrebbe voglia di entrare nel telone e nascondersi, confondersi con i personaggi, fra le strade, nelle case… lontano…. E, fortuna, che c’è il carnevale, che torna, dopo sette anni di forzato ingiustificato esilio, preferito ai tanti cosiddetti eventi orripilanti. La beata, e forse in futuro santa, Roberta si è presa sulle spalle anche questa gerla pesante e con l’entusiasmo dei folli si è messa a ripulire la polvere spessa e a rimuovere le muffe di Io faro carnevale. La Cisterna, i nuovi condomini, le scuole, le famiglie, il carnevale popolare che divenne negli anni manifestazione cittadina con Sebastiano tornato agli antichi splendori, dopo essere stato buttato da una parte come uno straccio vecchio e sporco. Coriandoli, stelle filanti, musica e tanta allegria: godiamocela tutta questa sbornia che è l’essenza del carnevale come frutto proibito, occasione in cui tutto è lecito. Scordiamoci il D americano e la Piccola Città si abbandoni a qualche ora di sana spensieratezza. Poi tornerà la maschera malinconica del Pierrot o quella stralunata dell’Alberto Sordi dei Vitelloni, alla fine della festa.
P.S. A carnevale ogni scherzo vale. E questa pasquinata, scritta di getto, prendetela come tale anche con la sua attinenza al tema e il retrogusto amaro.
De che te lagni, popolo fregnone, / se a fa’ la guardia ar pollaro der Palazzo /
c’avevi messo la vorpe e la fajna; / se mo’ t’agguanti a sto’ pormone, /
e te fai fregà da la manfrina/ che t’ha promesso le stelle e fatto er mazzo. //
Dicheno li ccompari der grillo genovese rubbamazzo: / ” Er Trajano? E ch’edè? Le buche? È rrobba che se magna? / Stateve bboni, semo d’artra razza, ce piace sta’ cuccagna:/ magara studià, penzà, fiottà… e nun fa’ un cazzo.”