Nessun equivoco. Non è un coccodrillo, come è definito in gergo giornalistico il ricordo di un personaggio appena scomparso, e neppure un tributo al bel tempo che fu. La Principessa, che ci ha appena lasciato, merita molto di più. La sua vitalità, la sua forza, nonostante le avversità, la sua gioia di vivere fra la sua popolosa nidiata dovrebbe aiutare a far riflettere tanti, troppi abitatori della Piccola Città.
Ho lasciato in bianco la rubrica della scorsa settimana: nessun impegno particolare, soltanto il rispetto nei confronti di due brave persone sconfitte vigliaccamente dal brutto male che in molti dicono sia l’elisir dell’aria pulita che da più di sessant’anni si respira da queste parti. E poi c’era poco da dire: un Natale fai da te con le luminarie puntualmente cinesi, dispiegate sulle ringhiere dei balconi alla faccia del mortorio di via Cencelle e dintorni, a lume di candela o poco più. E l’arsenico ancora nell’acqua, le buche ormai voragini con le perdite d’acqua come fiumiciattoli gorgoglianti e laghetti a cui mancano le paperelle. Una situazione di lento, continuo smottamento, che ha ormai preso i connotati di una frana, di fronte alla quale l’egoismo e la rassegnazione vanno a braccetto come una coppia d’innamorati. Perché dunque il ricordo della Principessa? Intanto perché la sua storia ci parla di un porto che, fra mille difficoltà e con la miseria degli anni della ricostruzione, era vivo e popolato. Certo c’erano ancora le ferite laceranti dei bombardamenti, ma c’era pure la dignità e la fierezza di voler cambiare le cose, la ricerca della felicità, comune. Non è demagogia. Era così. E la Principessa con la sua pescheria addobbata nelle grandi occasioni e, soprattutto, con le sue mappatelle popolari, proprio vicino al mascherone della fontana (funtana) del Vanvitelli, era l’esempio di chi combatte e non si abbatte. Altri tempi e altre persone. Ora la Calata e il Forte fanno un bel salotto, percorso dalle frotte dei crocieristi. Ci sono le comparse, mancano gli attori protagonisti: i civitavecchiesi, come ai tempi della Principessa che è però rimasta sempre la stessa con la sua pettinatura a cipolla, i suoi modi diretti, la sua affabilità e anche il suo comandare i figli, i nipoti, i tanti amici e conoscenti che popolavano il cortiletto, salotto all’aperto alle Casermette. Un invito all’amministratore di turno che, statene certi, scoverà una viuzza, una stradina, per onorare con un segno indelebile una “grande figura”: lasci stare. Il ricordo vivo è quello più vero e sincero. Per lei e, mi permetto, per le due altre brave persone che non ci sono più. Gli applausi ai funerali, lo sdoppiamento delle esequie, come quello per il blues man partenopeo toscanizzato, la dicono lunga sui sopravvissuti, su quelli che rimangono, e hanno una gran voglia di farsi notare, di mettersi in mostra, anche in un momento sommamente doloroso. Poi, dopo un paio di giorni, la lugubre festa è finita, magari con qualche strascico di social che non guasta mai. Basta con le vie ruffiane per qualche voto in più. Se la Piccola Città vuole onorare la memoria delle due brave persone che le hanno voluto bene, prenda esempio da loro e moltiplichi l’impegno che hanno sempre profuso e, magari, si interroghi sulle cause della loro sorte. Basta alzare il nasino all’insù per ammirare lo spettacolo dei nuvoloni che, ogni fine settimana, ci regala la grande sorella che si è piazzata sulla nostra spalla da tempo immemorabile a mo’ d’avvoltoio. Basta guardare l’orizzonte per scorgere le silenziose navi carboniere, tre, quattro, cinque, pronte a dare il biberon alla famelica centrale. E poi i fumi del porto che qualcuno del firmamento stellare s’illude di aver sconfitto, senza fare due conti: meno spifferi neri dai fumaioli uguale meno traffici, lo dicono i dati della crisi dello scalo. Questa giostra continuerà, fino a quando ci si sazierà delle marce con duecento persone, in una città che ne conta quasi sessantamila, e si griderà vittoria solo perché non si accettano le marchette energetiche per l’accendispegni delle lampadine natalizie. Se gli abitatori della Piccola Città non la smetteranno di guardare dentro la porta di casa andrà sempre peggio. Dove lo mettiamo l’inceneritore? E dove se non lì! E perché non ci mettiamo qualche rifiuto tossico di straforo? Le banchine elettrificate? Facciamoglielo credere! Nessun vittimismo. Nessun alibi, e neppure il richiamo dell'”a noi c’ha rovinato la guera”. È una constatazione, non solo mia. Neppure chi guida il Comune con una maggioranza invidiabile rispetto al passato e con un mandato chiaro dei suoi tantissimi elettori ha avuto finora la forza, la voglia, il coraggio… di prendere per un orecchio i responsabili di quello che si chiama inquinamento. Una sana cagnara, una bella piazzata, come si diceva una volta. Uno scossone di dignità. “Quanno ce vo’ ce vo'”. Come, credo, direbbe ancora la Principessa.