Immediata reazione del collettivo No al Fossile di Civitavecchia alle parole del direttore di Enel in Italia, Carlo Tamburi, che ha prospettato la possibilità di un ritardo nelle dismissioni delle centrali a carbone entro il 2025.
“Il disco rotto di Tamburi non smette mai di suonare la stessa canzone – afferma No al Fossile – il direttore del gruppo Enel Italia pare davvero ossessionato dagli iter autorizzativi delle nuove centrali e torna a chiedere per l’ennesima volta, come riportato ieri dal Sole 24 ore, di sbloccarli e velocizzarli senza accorgersi però che, a differenza della sua giurassica visione delle cose, il mondo è cambiato, sta abbandonando i combustibili fossili, gas compreso, e spinge inesorabilmente verso un futuro fatto di rinnovabili e comunità energetiche territoriali. Di questo, tra l’altro, se n’è accorta da tempo anche la stessa ENEL che infatti in tutto il mondo sta investendo in FER (fonti energetiche rinnovabili) e logistica.
È chiaro che la transizione ecologica e la decarbonizzazione non hanno assolutamente nulla a che fare con le pressioni che Tamburi cerca pubblicamente di esercitare nei confronti degli attori politici e tecnici coinvolti nei processi autorizzativi delle nuove centrali. In ballo infatti ci sono i miliardi del Capacity market, meccanismo con il quale lo Stato paga un prezzo fisso a un fornitore di elettricità per quindici anni, perchè possa garantire lo stesso volume di energia, in qualsiasi momento, anche se non verrà mai richiesto dal mercato. Questa capacità disponibile dovrebbe servire a coprire i picchi negativi delle rinnovabili (assenza di vento o sole, ad esempio) ed evitare così i black-out. Di fatto, pero’, si tratta di un aiuto di Stato solo ad alcune aziende, accettato da Bruxelles, che in questa fase di transizione viene usato per finanziare l’uscita dal carbone, non a vantaggio d’investimenti alle rinnovabili, urgenti e necessari, ma per costruire nuove centrali a gas o per mantenere operativi i vecchi impianti. Ad esempio, nella prima asta gestita da Terna il 6 novembre 2019, su 40 GW assegnati, solo 1 GW è andato alle rinnovabili. Nella seconda, del 28 novembre dello stesso anno su 43,4 GW, agli investimenti destinati alle fonti pulite sono stati appena 1,3 GW. I miliardi del capacity market, in un quadro nazionale che comprende anche gli impianti attualmente funzionanti (TVS) o quelli futuribili (TVN a gas) appaiono dunque funzionali a foraggiare adeguatamente una sola opzione industriale: il gas.
Questo è il vero e unico motivo che spinge grandi gruppi come Enel, Edison, Tirreno Power o A2A a chiedere di poter costruire nuove centrali a gas sul territorio nazionale. Ed è per questo che oggi, venuto meno il tema occupazionale col quale per decenni si sono tenuti a bada interi territori (le nuove centrali turbogas non creano posti di lavoro, anzi, li fanno perdere) i manager del fossile tornano alla carica proponendo un nuovo ricatto e sembrano dire: “o ci autorizzate rapidamente le nuove centrali a gas, oppure terremo accese quelle a carbone”.
Noi a questo giochetto non ci stiamo. La nostra comunità, attraverso i suoi comitati, i suoi tecnici e le sue battaglie sindacali, ha già proposto piani alternativi concreti, credibili, tecnologicamente percorribili ed economicamente sostenibili grazie anche ai fondi del Nextgeneration eu. La verità è che il futuro è ora e non ha bisogno del gas di Tamburi, ma di investimenti veri per ammodernare la rete nazionale e per creare filiere industriali legate alle fonti rinnovabili e agli accumuli. Insistere sul gas e sui combustibili fossili e farlo, peraltro, inserendo Civitavecchia in questo pessimo piano nazionale, significa offendere l’intelligenza della nostra comunità e comprometterne per altri decenni il futuro. È bene che Tamburi e gli interessi che difende sappiano che non accetteremo altri ricatti. Il gas è il passato, se ne faccia una ragione”.