“Una “svolta” storica, la definisce con enfasi il ministro Sacconi, il referendum di Mirafiori, similari le dichiarazioni del “capo” Marchionne con la “raccomandazione”a chi hanno votato per il no di “mettere da parte le ideologie e i preconcetti”e l’invito di collaborare per raggiungere i futuri ed ambiziosi obbiettivi della Fiat. Di quali futuri parli Marchionne, sta diventando veramente un enigma, avvolto dalle nebbie delle serate piemontesi visto che per chi ha letto l’accordo il piano industriale al momento consiste in una fotocopia di un comunicato della Fiat”. “Non sembra che il Ministro, ma soprattutto che la Fiat abbia fatto l’analisi del voto del referendum, mi chiedo si sono accorti che i “SI” hanno vinto per il decisivo approvazione d’impiegati e degli stessi quadri della Fiat?. Non è stato facile votare liberamente col cuore e con la testa, in uno scenario dove si costringevano i lavoratori: o approvare la volontà di Marchionne al buio, perché non esiste un piano industriale, non si sa se ci siano i soldi, oppure si perdeva il lavoro e ci si mette contro un padrone che, dichiarando la novità ed extraterritorialità di diritto della joint venture Chrysler Fiat, si considera sciolto da tutte le regole e pronto ad andare a qualsiasi rappresaglia. Hanno votato tutti (96%) a Mirafiori, sull’accordo proposto dall’amministratore delegato Marchionne. una percentuale che nessuna elezione politica si sogna. 54% i sì e il 46% i no, un rifiuto ancora più massiccio di quello di Pomigliano. Formalmente, l’accordo è approvato, ma, di fatto, e non per paradosso, si tratta del risultato peggiore possibile per i sostenitori di questa “modernizzazione” a rovescio. Una grande azienda complessa come Mirafiori non può essere gestita ignorando un dissenso così ampio, che soprattutto è concentrato in reparti e figure professionali che alla fine saranno quelle maggiormente interessate dall’applicazione dell’accordo. La vertenza su Mirafiori resta, secondo me aperta perché nella consultazione si è evidenziato un dissenso ampio, del quale sono protagonisti quelli che dovrebbero gestire direttamente il cambiamento.
Gli operai della Fiat hanno dato una lezione alla politica, una lezione di serietà, di responsabilità, di dignità, si, la tanto bistrattata, invisibile e residuale per alcuni, classe operaia.Questi operai lasciati soli dalla politica, che si sono caricati sulle spalle scelte importanti per il futuro economico ed industriale del paese. Il governo delle destre in questa circostanza ha confermato la sua natura “classista” impersonata nella figura del ministro Sacconi, questa circostanza che si è misurata la distanza siderale della politica, della casta , della nomenclatura, dai problemi dal proprio popolo. Il problema vero per la politica è la sua marginalità in questi processi. Basta pensare al fatto che sia governo che l’opposizione non hanno chiesto nemmeno all’azienda qual è il suo progetto industriale. Il Pd, la politica in generale, ha perso una grande occasione per stare vicino al proprio popolo, non si trattava di tifare per la Fiom, ma si trattava di scegliere la democrazia fatta di diritti e doveri, di scelta condivise e condivisibili o la “democratura” come vuole Marchionne.
Si trattava di battere finalmente un colpo su che tipo di lavoro si vuole , il lavoro dei diritti e dei doveri, il lavoro delle regole condivise e condivisibili, perché è indubbio che il lavoro rappresenta lo “status” democratico di una società, invece i Fassino, i Renzi si sono limitati acriticamente a fare il “tifo” al buio per il modello “americano” di Marchionne condividendo, di fatto, la linea ideologica di Marchionne, la sua .
Questi signori hanno condiviso, di fatto, il modello della contrattazione americana, il più arcaico, il più arretrato in quanto a diritti, dove non esiste una contrattazione nazionale, dove, chi sciopera può essere sostituito a tempo indeterminato dai crumiri, dove si può lavorare nello stesso posto di lavoro con la metà del salario. Vi è qualcosa di più, qualcosa di più tristemente grottesco nel perché una parte della sinistra e del sindacato che non si pone domande elementari, per esempio come mai la crisi dell’auto colpisce solo il gruppo Fiat in grave ritardo in fatto di tecnologie ed innovazione. Nel 2010 la Fiat ha collocato sul mercato dell’Unione europea all’incirca un milione di auto, i due maggiori gruppi francesi tre milioni e i produttori tedeschi sei milioni, ci sarà pure un motivo in questa emorragia di vendite?.
Dobbiamo questo scarto drammatico all’ingordigia dei sindacati italiani in particolare, della Fiom ignari dell’avvento della globalizzazione? Al rifiuto di adeguare i salari italiani a quelli polacchi e perché no? cinesi? Tenendo conto che i salari italiani sono i più bassi del mondo democratico. I dati dell’ Ocse ci ricordano che alla Volkswagen il salario lordo di base degli operai della linea di montaggio è di 2.700 euro al mese e quello degli operai della manutenzione di 3.300-3.500 euro. Non si tratta solo di salario. I rappresentanti dei lavoratori occupano il 50 per cento dei seggi del Consiglio di sorveglianza (come in tutte le grandi imprese tedesche), dove si discute la strategia dell’impresa, gli investimenti e le garanzie dell’occupazione. Quando un’impresa sostituisce un diktat alla pratica di un normale negoziato e al sindacato che dissente è negata la cittadinanza in fabbrica, il problema non è la globalizzazione, ma l’americanizzazione delle relazioni industriali. In ogni caso, basterebbe chiedersi se Marchionne avesse potuto presentare il suo progetto di marginalizzazione, se non di definitiva distruzione, della Fiat e di smantellamento del sistema di relazioni industriali, a un normale governo di destra come quello tedesco o francese, o a un sindacato europeo, senza essere sbeffeggiato e considerato un semplice provocatore, bizzarro e arrogante. In Italia assume, invece, le sembianze di un “modernizzatore” e di un riformatore”.
Edmondo Cosentino Direzione PD Civitavecchia