“Uno delle migliaia che si consumano ogni anno nel mondo e anche, purtroppo, nella civilissima Italia. Ancora un corpo straziato, le carni lacerate, un’anima violata. Ed ancora una volta mentre parlano di questa violenza perpetrata su una delle tante donne del mondo, anche io, donna, mi sento violata, offesa, lacerata? Sono vittima io con lei, con lei condivido le ferite del corpo e della mente, sento il suo rivivere quei terribili momenti ed ascolto l’inutile blaterare di chi si erge a giudice o difensore. Di chi analizza e cerca di comprendere, di chi vittima di quella stessa cultura stupratrice, è preso da foga giustizialista e va chiedendo la castrazione chimica e chissà, forse anche la pena di morte. Ma non si interroga. Ogni giornale, ogni televisione ne parla. Ma non parlano di me, di lei, violata, ferita, stuprata, parlano, ancora una volta di lui, di loro: gli stupratori. Anche se questa volta non li giustificano perché sono stranieri, immigrati, brutti sporchi e cattivi per antonomasia.
Ed io mi sento ancora più violata, ancora più offesa, nuovamente stuprata da chi mi usa, e usa la mia tragedia per offendere, ferire, violare le tante marginalità, da chi non dice che delle tante violenze sessuali solo il 3,8 per cento sono perpetrate da immigrati. Che non raccontano che le altre migliaia di stupratori sono i nostri padri, fratelli, mariti, e che tutto ciò accade sotto i nostri occhi, nelle mura delle nostre case, coperto dai nostri silenzi. Migliaia di donne che ogni anno subiscono la stessa tragedia ma che, visto che la violenza è perpretata nelle mura domestiche, o da qualche conoscente, non trova l’onore delle cronache e sono lasciate solo con il loro fardello impresentabile, socialmente non accettabile. Quella stessa mattina in un’altra città della civilissima Italia, la mia città, le cronache, ma solo quelle locali, raccontano di una altro stupro, ma questa volta la vittima è un’immigrata, per di più clandestina. Gli stupratori sono invece bianchi, italiani, figli della nostra società e della nostra cultura, certo soggetti un pò problematici, ma in ogni caso italiani e qualcuno accenna che in fondo, sai, lei ha accettato un passaggio in macchina.
Uno stupro che non ha l’onore di assurgere alle cronache nazionali, di cui si è venuti a conoscenza solo per qualche compassionevole vicino che ha sentito le urla, che si perde nelle migliaia di stupri subiti da queste nostre sorelle che non trovano il coraggio, che non possono denunciare le loro tragedie magari per paura di essere espulse. Una vittima come tante, lasciata sola con le sue ferite, seppellita nel silenzio del perbenismo provinciale, subito dimenticata. Uno stupro che parla alle cattiva coscienza di tutti noi, a quella cultura della sopraffazione dove il più debole (donna, migrante, ecc) deve soccombere al più forte e dove la sopraffazione diventa notizia solo quando inverte questa tendenza. Ed allora penso alle tante donne violentate, alle sorelle migranti, alle donne coinvolte nelle tante guerre umanitarie, ripenso alla foto della donna somala, a tutte queste mie sorelle il cui urlo non viene ascoltato e mi convinco che di questi stupri tutti noi siamo un pò colpevoli. Mi convinco, ma in realtà lo ero già, che razzismo, sessismo, violenza, guerra sono aspetti diversi della stessa cultura della sopraffazione e di cui lo stupro è solo il sintomo più acuto che, non a caso, passa sul corpo delle donne. Forse è di questo che dovrebbero iniziare a parlare giornali e televisioni”.
Simona Ricotti
Rifondazione comunista – Civitavecchia