“Altro che aria di mare: quella che si respira a bordo delle navi da crociera è inquinata come a Pechino o a Santiago”. E’ l’attacco dell’articolo pubblicato venerdì scorso sulle pagine online de Il Messaggero accompagnato da una foto del porto di Civitavecchia con cinque navi una in fila all’altra. L’articolo parla di uno studio condotto sotto copertura lungo un arco di tempo di due anni sulle principali navi da crociera e in particolare su quattro navi della Carnival Corporation che, però, ha smentito assicurando di garantire i massimi livelli di sicurezza per i suoi passeggeri.
Nell’articolo si sostiene che i risultati dello studio hanno rivelato che gli scarichi contengono componenti dannose come metallo e idrocarburi policiclici aromatici, noti anche come IPA, molti dei quali hanno proprietà che possono causare il cancro. Viene anche evidenziato il commento dell’autore dello studio, Ryan Kennedy, professore associato alla Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health, il quale giudica pericolosa l’esposizione ai fumi delle navi da crociera. Da parte sua la Carnival ha detto in un comunicato ufficiale che lavora con le principali agenzie governative sia nazionali che internazionali per garantire massimi livelli di sicurezza ai passeggeri e all’equipaggio e che i test effettuati sulla qualità dell’aria sulle sue navi soddisfano, o vanno anche oltre i requisiti richiesti. Quanto contenuto nell’articolo fa però tornare alla mente lo studio Abc, presentato proprio tre anni fa e realizzato dal Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, in collaborazione con vari enti scientifici come l’Istituto Superiore di Sanità. In riferimento alle polveri sottili, lo studio aveva evidenziato che l’impatto nell’ambiente di Civitavecchia del porto era lo stesso della centrale di Torre Valdaliga Nord, con la differenza che nel primo caso le polveri vanno progressivamente disperdendosi a mare, mentre nel secondo si allargano a macchia d’olio in tutto il comprensorio.