Cinque minuti di applausi da parte di un pubblico attento, venerdì sera al teatro Traiano, per lo spettacolo – come di consueto intenso – della compagnia TeatroPersona, di scena con il suo ultimo lavoro, il Trattato dei Manichini.
Reduce da tournée attraverso tutta l’Italia e oggetto di una serie di importanti riconoscimenti, l’allestimento ha toccato il palco del teatro Traiano, giusto qualche giorno prima della partenza alla volta dell’appuntamento internazionale in Sud Corea, l’8 e il 9 maggio prossimi, quando la compagnia diretta dal regista e drammaturgo civitavecchiese, Alessandro Serra, andrà in scena a Busan, nell’ambito del prestigioso Busan International Performing Arts Festival. Spettacolo di profonde emozioni e di nitida precisione, il Trattato dei Manichini segue il percorso interiore di una bambina. Un percorso che sulla scena diventa un confronto con tre figure, tre donne vestite di nero, imperative, che di umano conservano ben poco. Figure fatte rigide dal lutto, dal dolore, manichini programmati. Sono, probabilmente, schemi di comportamento, le costrizioni di un’infanzia che va recupera e reintegrata – come spiega spesso lo stesso regista – proprio attraverso un confronto con i suoi aspetti più bui, con le coercizioni che, malgrado tutto, si vivono. Può essere una severa istruzione, può essere la rigida e falsa morale cattolica, può essere la mancanza di comunicazione in casa, può essere semplicemente un’ora di solitudine per un bambino, un’ora che nel tempo interiore diventa una lunga parentesi di buio. Può essere una cosa diversa per ogni spettatore. Ma per ognuno il risultato è lì, rappresentato sul palco. Così, in questo viaggio a ritroso nell’infanzia, la bambina è forse solo la rappresentazione di un’anima adulta, che con consapevolezza e con la purezza delle proprie intenzioni oggi può guardare quei tre manichini senza paura, quasi con stupore, quasi chiedendosi come possano quelle tre figure avere ingabbiato le sue percezioni. Non domina la paura nei gesti della bambina – interpretata dalla piccola Silvia Melandra – che con sicurezza si avvicina alle tre donne – Valentina Salerno, Chiara Casciani, Alessandra Cristiani – che insieme a lei popolano il palco. Le tocca, le trasforma, le libera dalla coltre dei loro abiti neri, fino a che non chiudono la parabola della loro esistenza vestite della loro carne. Pezzi di sé forse, da sfiorare un’ultima volta con tenerezza.