Effetto domino, contromosse, casualità. Tante e diverse le possibili chiavi di lettura dell’improvviso cortocircuito che si è verificato nel Partito Democratico. Nel momento più difficile del principale avversario politico, quel Movimento 5 Stelle che fino a poche settimane fa gudiava Palazzo del Pincio con una maggioranza bulgara e che adesso invece si sta scoprendo fragile e diviso, il Pd rispolvera la tradizione tafazziana del centrosinistra e si agita. È successo sabato, nell’ultima riunione della direzione. Il segretario Enrico Leopardo ha dato 15 giorni al partito per cambiare rotta, altrimenti si dimetterà.
“C’è poca partecipazione, quando in realtà ci sono tante cose da fare”, dichiara Leopardo, fornendo una spiegazione che ha il sapore amaro dello sfogo. “Vorrei un partito in cui il segretario non deve agire da solo, ma può contare sull’aiuto della direazione, di un gruppo di lavoro, che invece fa poco”, insiste Leopardo. In attesa della risposta del Pd, il segretario si consola con gli attestati di stima ricevuti in queste ore. “In tanti mi hanno detto di andare avanti e mi ha fatto piacere”, commenta Leopardo. Chissà se qualcuno gli ha anche detto di candidarsi a sindaco, considerando il momento estremamente delicato che sta attraversando la giunta pentastellata guidata dal sindaco Antonio Cozzolino e le voci di una possibile sfiducia. “La crisi della maggioranza e l’ipotesi di un ritorno al voto non c’entrano nulla con la mia decisione”, risponde Leopardo, che lancia anche un messaggio chiaro e forte: “farò parte della squadra, ma non credo di candidarmi alle primarie, di sicuro non sarò io a spaccare il partito”. La strada che ha in mente il segretario del Pd è un’altra. “Quando ci sarà da decidere il candidato sindaco, ci siederemo intorno a un tavolo e ragioneremo sul programma di governo da presentare anche agli alleati”, afferma Leopardo, che rilancia l’invito al partito a voltare pagina. “Dobbiamo iniziare a lavorare al programma – afferma il segretario – già alcuni documenti sono stati preparati, ad esempio su ambiente, commercio e sport”. La sfida dunque è lanciata, per ora solo nel Pd, che intanto fa registrare un addio. Clemente Longarini lascia la caica di presidente della direzione del partito. “Serve un impegno forte per quel ruolo, ma non ho tempo e non mi sembra giusto restare a scaldare la poltrona”, spiega Longarini, che nega ragioni politiche dietro la sua scelta.