Le notizie degli ultimi giorni rispetto a quanto avvenuto all’ex Mattatoio mi turbano e mi lasciano l’amaro in bocca . Non entrerò però nel merito dei risvolti giudiziari della vicenda perché occorre avere rispetto per il lavoro degli inquirenti e anche per chi è sottoposto ad indagine e misura cautelare. Non ho mai creduto al garantismo a corrente alternata.
Detto questo, è indispensabile fare chiarezza su quell’esperienza che dal 2001 ha coinvolto centinaia di ragazze e ragazzi della nostra città. Per rispetto a loro e alle tante energie che hanno investito tempo e passione per un progetto giusto.
Mi permetto di dire ciò perché sono stato uno degli ideatori e degli occupanti di quella struttura abbandonata. Un’ occupazione pacifica da parte di un manipolo di giovani che aveva l’ambizione di recuperare uno spazio fatiscente per destinarlo ad attività sociali, ludiche, artistiche e politiche. Questa operazione riuscì bene per tutto il primo anno di occupazione (dal Dicembre 2001) e il centro sociale divenne per tante e tanti un punto di riferimento importante. Sperimentazione politica e artistica, luogo di conflitto sociale, riappropriazione degli spazi e assemblearismo. Tutti temi che facevano dell’ex mattatoio un luogo vivo e dinamico, aperto alle contaminazioni e in costante rapporto con la città e le sue tante vertenze. Erano gli anni delle prime battaglie contro la centrale a carbone e il centro sociale occupato e autogestito ebbe un ruolo centrale nell’organizzazione di quella lotta.
Insomma una realtà realmente democratica nel deserto di una città che mai ha pianificato e investito risorse per l’aggregazione e per il contrasto al disagio giovanile.
Tutti presupposti che avrebbero fatto pensare ad un lieto fine. Ma qui non siamo in una favola dei fratelli Grimm, nostro malgrado. La mia personalissima esperienza nella gestione di quello spazio si concluse appena un anno dopo, alla fine del 2012. Con me tanti e tante degli occupanti che non avevano più condiviso “la piega”che stava prendendo il centro. In realtà fu una divisione molto politica, quasi fisiologica, inserita dentro le dinamiche di un gruppo che si allargava sempre più. Una battaglia di linee politiche differenti. Una più attenta a ciò che accadeva fuori dalle mura del centro sociale ed un’altra più appassionata alla gestione e all’amministrazione dello spazio in sé. Poco tempo dopo, la linea prevalente, quella che aveva costretto me ed altri ad uscire, fallì clamorosamente e il centro sociale si trovò dentro un “vulnus amministrativo”. Siamo già a cavallo tra il 2013 e il 2014.
Da lì in poi, nella speranza che nessuno si senta offeso o non considerato e al netto della mia percezione da esterno, ho difficoltà ad inquadrare una gestione razionale e precisa del centro sociale. Tantissime gestioni si sono succedute in questi anni e mi è capitato, anche per moltissimo tempo, di non metterci più piede nemmeno per andare ad una festa. Nonostante questo, ho da molto tempo la sensazione che quell’esperienza, nella percezione dei più sia caduta nel tranello dell’autoreferenzialità, della gestione privatistica e dell’inutilità. Mancanza di obiettivi e strategia, incapacità di aggregazione, nessuna volontà di leggere le modifiche traumatiche che hanno investito tutta l’esperienza dei centri sociali italiani sancendone il fallimento strategico, a parte alcuni rari casi.
La progressiva e costante perdita di consenso tra i principali referenti sociali del centro (i giovani) unita alla totale mancanza di una linea inclusiva ha trasformato quella struttura in qualcosa di peggiore della “terra di nessuno”. La terra del più forte e furbo.
E’ quasi un sillogismo. Quando mancano gli obiettivi comuni e l’intellettuale collettivo è usato solo per organizzare qualche sporadica festa, subentra inevitabilmente la legge degli affari propri. E’ la privatizzazione del centro sociale a fini personali, esclusivi. E’ l’eutanasia di un’esperienza.
E spiace anche che alcuni, in buona fede, siano caduti in errore. E a loro, nonostante la miopia dimostrata, va il mio ringraziamento per aver provato a tenere in vita quell’esperienza.
In questi ultimi due o tre anni il centro sociale è ritornato improvvisamente alla ribalta a causa della sua possibile alienazione insieme al centro polivalente di Aurelia. Come consigliere comunale riuscii a far passare una mozione che li toglieva dalla lista dei beni in vendita. Non mi sembrava giusto per almeno due motivi: il primo perché ho sempre sperato che una nuova generazione si appropriasse di quello spazio e lo ritornasse a far vivere e funzionare per la città. Il secondo perché, da un po’ di tempo, credo il centro sociale avrebbe dovuto strutturarsi come un’organizzazione associativa, con un proprio direttivo, con uno statuto, con degli organi elettivi e anche con la capacità di chiedere finanziamenti per fare attività e progetti. Questo avrebbe potuto produrre un beneficio in termini di forza, di contrattazione per un’area che è già sotto la lente di ingrandimento dell’Autorità Portuale, proprio perché a ridosso delle banchine, e del Comune stesso, in perenne crisi finanziaria.
Ai tanti e alle tante che hanno attraversato quel luogo, il mio appello per aprire una fase di confronto pubblico su ciò che è accaduto, accade e, perché no, accadrà.
Â
Ismaele De Crescenzo