“Ma, dopo aver ascoltato e riascoltato attentamente, e fatte le opportune riflessioni sul contenuto della trasmissione andata in onda il 30 ottobre scorso, non possiamo esimerci dall’esprimere la nostra più vibrata protesta per la inusuale insistenza, con la quale, in un crescendo parossistico, vengono esternati valutazioni e giudizi (o meglio “pre-giudizi”), non solo sulle persone emotivamente coinvolte (si badi bene) nello stesso “dramma”, ma soprattutto nei confronti degli stessi inquirenti, fatti oggetto di una inammissibile pressione psicologica e mediatica, con l’unico evidente scopo NON di “scoprire” la verità, ma di arrivare seduta stante ad una ampia, totale e consolatoria affermazione di responsabilità (e conseguente condanna al “massimo” della pena) di tutti gli attuali indagati, senza distinzione alcuna: una vera e propria “ordalia” mediatica che rievoca le grida di manzoniana memoria.
Non, dunque, un “processo in tv”, che rispetti i precisi requisiti del relativo Codice di Autoregolamentazione ben presente ai conduttori della trasmissione; ma una pura e semplice anticipazione di giudizio, fondata su sensazioni, recriminazioni, in una parola sul “nulla”, giustificata soltanto dalla pur legittima ansia di conoscere la verità….ma quale verità ? quella pre-confezionata e servita su un piatto d’argento, che ricorda il dono che fece Erode alla perfida Salomé !
Peccato, perché fino al 30 ottobre ci era apparso che vi foste mossi con la dovuta attenzione (stante la unilateralità della posizione rappresentata in video) nel tentativo di frenare e bilanciare la foga accusatoria dei familiari del povero Marco; poi tutto è precipitato e, pur in assenza di qualsiasi nuovo elemento di indagine, si è insistito su quello che sembra essere il vero obiettivo dei partecipanti al programma e cioè dimostrare la volontarietà dell’atto omicidiario, addirittura come fatto comune a tutti gli indagati!
Come componenti della associazione dei penalisti italiani (U.C.P.I.) non potevamo rimanere ancora silenti.
E in questo contesto certamente inopportuno (se non penalmente rilevante) è apparso l’intervento del Generale Garofano, il quale ha utilizzato le informazioni apprese direttamente nel corso delle operazioni peritali, alle quali ha partecipato in qualità di consulente di parte della famiglia Vannini, da una parte violando il segreto istruttorio, dall’altra spingendosi a formulare pubblicamente giudizi e conclusioni in assoluta mancanza di contraddittorio; comportamento certamente inconciliabile con la sua funzione di consulente, sia pure di parte, in un momento in cui non è stata ancora depositata la consulenza dei periti d’ufficio.
In quella trasmissione non abbiamo sentito alcun richiamo ai principi fondanti che debbono ispirare il processo penale, così come previsto dalla nostra Costituzione: la presunzione di innocenza, la garanzia del contraddittorio, il diritto alla difesa, la indipendenza e la imparzialità del giudice.
Ci domandiamo, infatti, se sarà possibile trovare, nella ipotesi di un rinvio a giudizio nei confronti degli attuali indagati, un “giudice” veramente imparziale e libero da condizionamenti e suggestioni indotte al di fuori della sede deputata alla formazione della prova sul contenuto delle contestazioni accusatorie. Un patrimonio di civiltà giuridica messo continuamente in pericolo dalle pulsioni giustizialiste che attraversano la società moderna e contro le quali i penalisti italiani debbono quotidianamente combattere, spesso anche in aurea solitudine.
E’ anche per questo che alla nostra protesta sarà data la massima diffusione possibile, ritenendo che il tema rivesta una importanza di natura generale e risponda ad una esigenza che travalica la pur drammatica vicenda del caso specifico”.
Avv. Pietro Messina Avv. Andrea Miroli