Una domenica primaverile, tiepida e assolata e, soprattutto, senza vento. Passeggiata lungo la marina, facendo attenzione ad alzare lo sguardo, per godersi lo spettacolo del mare e, magari, evitare di soffermarsi sulle schifezze del poco che rimane della riva. Bambini festanti, palloncini, pochi, aria di festa, tanta bella gioventù. È il 14 di maggio 2017. E, come ogni anno, è il giorno della memoria del primo bombardamento. Andiamo avanti: pranzo in collina e poi l’appuntamento solenne all’aula consigliare.
Qualche minuto di ritardo e ci introduciamo nell’atmosfera lugubre del semibuio. Siamo fortunati, ci sono ancora molte poltrone vuote, anche fra le prime file. Per un momento, dimentico, dimentichiamo, forse perché troppo presi dall’atmosfera festosa che ci accompagna, che siamo nella Piccola Città. Non quella disastrata e ridotta alle macerie dei bombardamenti, ma quella dell’oggi. Ma dove, ma quando?! Ma quali posti liberi! Sì, perché appena ti accosti con circospezione, e senza dare fastidio all’attento uditorio, ti rendi conto che delle poltrone ci sono rimasti solo i braccioli. Tanti braccioli, a occhio e croce più di un quarto del totale, rimasti orfani del regolare sedile. Inutili e pericolosi. Attenzione, non parlo di un cinemetto di periferia. Questo è, o almeno dovrebbe essere, il massimo consesso cittadino. E, invece, qui nella Piccola Città, non quella della difficile ricostruzione, ma di questi tempi odierni e contemporanei, straordinariamente tecnologico-avveniristici, si tira a campare, indossando come nei film di Totò e anche di Sordi lo sparato della camicia, senza tutto il resto, camuffato sapientemente sotto il gilè e la giacca. Dichiaro la mia sorpresa e il susseguente sconcerto, perché da un po’ non sono un frequentatore della massima assise civica. E domando ai rappresentanti della comunità della Piccola Città, eletti dai suoi abitatori, e a chi li governa: ma vi siete accorti dove concionate? Che aspettate che vi cada addosso il soffitto o sprofondi il pavimento? A pensarci bene, non è colpa loro. Questo lento, e sempre più veloce, declino è diventata la consuetudine. Così, se vai fuori porta e trovi in un paese, una cittadina anche vicina un po’ di ordine e pulizia ti sembra di esser sbarcato sulla luna. Marte sarebbe un esempio un po’ fortarello. E così ti adegui. In un prossimo futuro, quando cederanno altri sedili al logorio della vita moderna, magari mister Melchiorri e i suoi aficionados, senza fare una grinza, si porteranno la sedia da Civitavecchia C’é, per assistere a qualche infuocato consiglio comunale. E, sempre loro, si procureranno i megafoni, di quelli che vendono a pochi euro gli immancabili cinesi, perché, sempre nel primo pomeriggio primaverile del 14 maggio, ho scoperto che l’impianto di amplificazione della suddetta aula funziona a singhizzo e gli organizzatori, per fortuna o per semplice esperienza di altre manifestazioni, si sono portati da casa microfono e amplificatore. Così l’atmosfera della precarietà che la celebrazione del bombardamento si porta appresso da anni si è sposata, alla perfezione, sull’attualità. Del resto se vi fate un giretto torno torno alla casa del balilla che vedete? Le due vasiere all’inizio del vialetto trionfale che conduce all’ingresso della sede comunale contengono un po’ di terriccio. Magari non ci sono finite le ciche perché sono troppo basse, ma mi sembra che manchi qualcosa: basterebbe una piantina da un paio di euri. Per dire che, nella bailamme di ragazzini vocianti e pericolosi con le loro pallonate miciadiali e le biciclettine a velocità sconsideratamente supersonica, se cerchi di guadagnare la scalinata verso l’arena scopri una bella coltivazione di parietaria e monnezza lungo la scalinata che sta proprio lì, a ridosso dell’ingresso dell’ufficio protocollo. E i fili volanti, e i neon sospesi sopra la pensilina ormai senza la plafonatura dell’ingresso dell’aula consiliare? È inutile nascondersi, l’occhio in questi posti ci cade. E certo le mammine, i babbini, e magari nonnini e nonnine ci fanno poco caso, perché tutti loro si sono abituati. Ma chi governa, chi un giorno sì e l’altro pure moralizza spocchiosamente, si rende conto di dove sta portando la Piccola Città? Qui l’acqua è diventato il passatempo preferito dei social. Ma, attenzione, va bene lo sberleffo e la foto paracula, ma provate, per credere, a stare solo mezza giornata con i rubinetti a secco. Anche questa come le poltrone sfasciate dell’aula consigliare è diventata la normalita. È una sapiente ricostruzione di qualche gruppo culturale del medioevo prossimo venturo che già bussa alla porta, e sta per entrare. Si dirà che mancano i soldi, e così il nuovo assessore con la magnanimità che ricorda il signorotto feudatario o i padroni del vapore parla di spiccioli da gettare un po’ qua un po’ là, come le monete infuocate che il marchese del Grillo lanciava dalla balconata del suo palazzo agli ingenui questuanti. Ma quali spiccioli, ma quali elemosine! Qui non si chiede lo champagne, basta uno spumantello bollicinoso! E questi fanno finta di niente. Siamo tornati ai tempi mitici del commissario Calenda, di quando la città fu parallizata per anni. Anzi, peggio. E se chiedi delle soparcitate poltrone dell’aula consiliare al fascia tricolore e dintorni, con la solita spocchia, ti risponderà, se ti risponderà, che non è colpa loro, che sono pieni di debiti lasciati dagli altri. E poi scopri che così indaffarati a pensare di prendere per il c…. i cittadini si scordano i bandi per i finanziamenti e combinano casini a non finire, ivi compreso lo sfolgorante accordo con Molo Vespucci che, leggo dalle cronache, si è dissolto nell’aria, e ci ha messo con il suddetto c… per terra, proprio come potrebbe capitare a qualche sprovveduto frequantatore dell’aula consiliare che si va a sedere nella penombra funerea e fa un bel capitomobolo. Per dire, cari amici vicini e lontani, ivi compresi gli infaticabili organizzatori e custodi della memoria cittadina, in grande spolvero nel pomeriggio delle celebrazioni, che non sarebbe male se cominciassimo a guardarci un po’ intorno. Le litanie vanno bene, ma qui le bombe arrivano da tutte le parti. Il mitico centravanti della Magica, che non è del PD, ha paragonato le strade di Roma Raggi Sorriso Durbans a Cinque Stelle a quelle bombardate della sua Sarajevo. E qui non stiamo meglio. Suvvia, celebriamo, ma affranchiamoci da queste bombe. E, quando vogliamo fare una dedica ad un personaggio di valore come il reporter dei bombardamenti e delle ricostruzione, non schiaffiamo una palina nello squallore di un parcheggio. Blasi non era un posteggiatore. Bastava affiggere una targa con la sua foto nell’aula Calamatta in cui lavorava, e metterci vicino un paio delle riproduzioni più significative.