Una sentenza clamorosa, durissima nei confronti dell’Autorità Portuale di Civitavecchia e del modo con il quale ha gestito il licenziamento di un suo dirigente. Una sentenza che farà discutere e di cui si parlerà molto, non solo a livello locale. La dottoressa Irene Abrusci, Giudice della Sezione Lavoro del Tribunale di Civitavecchia, ha dichiarato nullo il licenziamento di Malcom Morini, ex dirigente del settore promozione, sviluppo del turismo e marketing del territorio, avvenuto nel marzo dello scorso anno, e condannato l’ente a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a corrispondergli la retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra, nonché al pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali, con interessi e rivalutazione al saldo.
Ha inoltre condannato l’Autorità Portuale al pagamento in favore del ricorrente della metà delle spese di giudizio stimate in 5mila e 300 euro, e, al contempo, respinto la richiesta di Morini di risarcimento danni. Le motivazioni addotte dalla Giudice per arrivare alla condanna dell’ente disponendo il reintegro nel posto di lavoro del dirigente e il pagamento degli stipendi che non ha percepito nei 17 mesi successivi al licenziamento, sono molteplici. Nel dispositivo della sentenza si legge che “tali considerazioni portano, inevitabilmente, a concludere che la scelta datoriale di licenziare proprio il ricorrente, nell’ambito della riorganizzazione adottata, non sia conforme a buona fede: il lavoratore è stato, invero, dapprima trasferito ad una posizione di lavoro creata ad hoc e sostanzialmente superflua, per poi essere licenziato proprio in ragione della superfluità della posizione di lavoro mentre continuava ad essere operativa la posizione di lavoro ricoperta in precedenza, affidata ad altro lavoratore”. E ancora: “oltre a non essere conforme a buona fede, e quindi ad aver dato luogo ad un licenziamento privo di giustificatezza, il disegno datoriale che emerge dalla ricostruzione degli eventi conduce a ravvisare una ipotesi di recesso radicalmente nullo, in quanto intimato in frode alla legge. Il trasferimento del lavoratore ad altra posizione lavorativa creata in quel momento e poco dopo soppressa, in assenza di reali e dimostrate esigenze datoriali al temporaneo utilizzo di un profilo dirigenziale “a disposizione, nell’ambito della Segreteria Tecnico Operativa, a diretto riporto del Segretario Generale”, non può che ritenersi preordinato a conseguire un risultato vietato dalla legge, ovvero ad individuare il dirigente destinatario del licenziamento non sulla base di criteri oggettivi e conformi a buona fede bensì in modo arbitrario”. E, secondo la Giudice, “il risultato è stato conseguito perché, adottando il criterio poi effettivamente seguito dell’Autorità resistente, ovvero quello del licenziamento dei dirigenti titolari della posizione di lavoro soppressa, se il Morini non fosse stato traferito nell’imminenza della procedura di riorganizzazione ad altra posizione lavorativa, ma fosse rimasto ad occuparsi dell’ufficio di cui è stato responsabile per buona parte della sua carriera lavorativa, egli non sarebbe stato destinatario del licenziamento”. C’è da dire che determinanti nelle decisioni della Giudice sono state le testimonianze, sia dei colleghi di lavoro, sia, soprattutto, del Segretario Generale dell’ente, Paolo Risso.