“Oh, cazzo, scusami, è tutta colpa del vento”. Walter, reduce dal Vietnam ancora ossessionato dalla guerra, fanatico convertito all’ebraismo, pronto a puntare la pistola contro chiunque, si rivolge a Drugo, il grande Lebowski, amico inseparabile di boowling che vive alla giornata con regolare spinello e white russian, spesso in ciabatte e accappatoio. Lo scorbutico Walter ha appena combinato un bel guaio, le ceneri dell’altro amico di gioco, lo stralunato Donny morto prematuramente, hanno letteralmente ricoperto lui e l’incazzatissimo Drugo.
Sul promontorio, i loro sguardi rivolti al Pacifico, tanto caro al caro estinto da poco, sono offuscati dalla polvere che esce dal grande barattolo del caffé Folgers, ricacciata indietro dal vento con effetto boomerang: la cerimonia solenne si trasforma in uno dei momenti magici del cinema dei fratelli Coen, e della storia del cinema. Ceneri, dunque, ceneri addosso, che ti fanno perdere la vista, come quelle che avvolgono da tempo la Piccola Città: straziano, fiaccano, vincono le residue difese per una sopravvivenza almeno decente. Ceneri che ti fanno chiedere in piena notte, risvegliati da un incubo: “fino a quando?”. E così la Piccola Città, solo adesso, torna sulle pagine del TRCgiornale, in un momento residuo di forza, di ribellione. Uno squarcio di luce fra le ceneri cosparse a piene mani per aria, che confondono tutto il resto: i problemi di sempre. Strade come carrarecce, l’acqua come una rogna che ti divora; domande, tante, come: “Che fine ha fatto l’hotel Fiumaretta? A quando il nuovo assessore?”. Le cronache parlano di 24 pretendenti al trono del nulla. E via discorrendo. Felice il popolo del No in lotta che trova nuova vita, come la mitica araba fenice, dalle ceneri. Quelle dei morti che, chi vorrà, ritirerà dal nuovo impianto in collina, raccolte in un contenitore più sobrio ed elegante del barattolo di caffé del grande Lebowski. Mentre nel cimitero nuovo non c’è più un pizzo dove depositare decorosamente il fu, la fu, e si continua a giocare a nascondarella, magari rimanendoci chiusi, al di là del muro di cinta fervono i lavori dell’impero del male: mettete il forno della vostra pizzeria moltiplicato cento e cento volte. Dicono che non farà fumo e non lascerà nell’aria odori. Manco a dirlo, gli abituè della bottega del Ghetto si sono dati una scrollata. Il carbone, l’autostrada, le caramelle con o senza buco, la carne il venerdì, perfino la Frasca: roba vecchia. Senza gusto l’ennesima stracca gita in corriera e manifestazione a Roma contro questo e quello. E vai! “No al forno crematorio”: è il grido di battaglia che dall’epicentro del Ghetto si disperde nell’aere, senza per altro inquinare. È quello stesso popolo, uno per uno, che si spellava le mani sempre lì per festeggiare la vittoria stellata e stellare. Che è successo? Ravvedimento, delusione, acidità, bruciori di stomaco? Come recitava la pubblicità del digestivo Antonetto, che si poteva prendere anche in tram. Niente di tutto questo. Il gregge del comico & associati, una ne fa e cento ne pensa, magari fregandosene elegantemenete dell’ordinaria gestione del presente. Così, pensa e ripensa, dopo interminabili mesi di vacanza, l’assessore verde pisello, quello della marcia fuori porta e del No a prescindere, ha avuto una scossa improvvisa, un’intuizione. Ci sono uomini e schiere abbattute dall’inedia, dalla mancanza del nemico di sempre contro cui sbandierare lenzuoli di firme, declamare appelli, marciare in corteo. Come rimediare a questa cassa integrazione infinita? L’assessore di cui sopra l’ha buttata lì: “diamogli il forno crematorio, come lo spumeggio”. E, come vope, dentici, sarpe e orate all’antemurale di una volta, il popolo del no, si è ringalluzzito, ha subito accerchiato con voracità l’esca e relativo amo. E le ceneri, da mesi, arrivano dappertutto. Conferenze stampa, firme, riunioni, passeggiate dai carabinieri, ricorsi in tutti gli strapuntini della burocrazia legislativa. Una bella trovata quella dell’assessore. E poi, ma quale contestazione interna, ma quale improvviso ravvedimento, pentimento degli elettori cornuti e mazziati? È un gioco delle parti, vecchio e stantio, da professionisti. Altro che nuovo, è il vecchio che non molla mai: il popolo del no ha ritrovato il passatempo di sempre. Sì, va bé, ma la catilinaria di Riccetti? Lo smarcamento delle due veline facebook, il meetup in movimento? Tutto calcolato. Vecchia politica. È come la gag di Totò che continuava a prendere sganassoni e rideva perché lui non era il Pasquale dell’infuriato colpitore. Anche in questo caso, sindaco e compagnia cantando hanno riproposto la solita nenia: “noi non c’eravamo, il forno ce lo siamo trovato fra le p….; sapeste quanti scatoloni c’abbiamo di schifezze…”. Il resto non conta, il popolo del No si ingrassa dello spumeggio, e rutta deliziato. Il sindaco ghigna. E la Piccola Città non si è potuta neppure consolare con le foche di ferragosto. Solo focherelli.