Se ti capita di aprire il piccolo lenzuolo, scritto a lettere minuscole che, nove volte su dieci, s’incastra con il contenitore delle pillole che ti aiutano a risolvere un mal di testa, a abbassare la pressione, a combattere l’insonnia…; se ti capita, nove volte su dieci, l’attenzione è rivolta al cantico dedicato agli effetti collaterali. Li leggi, saresti tentato di sputare la pillola, ma poi ringrazi con tutto il cuore chi ha creato la miscela contenuta nella sferetta bianca. Meglio stare al gioco, per tirare a campare. Di effetti collaterali nel lenzuolone che ricopre da anni la Piccola Città ce ne sono molti, e si fanno sentire: un po’ come il mal di pancia da antibiotici.
Ma qui in tanti hanno buttato, spero nella raccolta differenziata, il foglietto, poi si stupiscono, si tuffano sui giornali e davanti alle telecamere per proclamare, e per esistere. Tre medicine, riporta la cronaca. La prima è come l’aspirina/efferalgan che si chiama Enel. La prendiamo in compresse o sciolta nell’acqua con il caratteristico frizzantino del citrato, dal dopoguerra, quando avevamo la febbre alta da disoccupazione e ne abbiamo inghiottito dosi massicce. La Piccola Città, come ricordava in un suo libro con ciminiera e pennacchio l’ingegner Rinaldi, aveva il record del polo energetico più potente per produzione d’Europa. Un vanto industriale, una medicina forte, con i suoi effetti collaterali che sono rimasti con le nuove pillole di carbone, meno invasive, come si dice nel linguaggio farmacologico. E allora? Perché scatenare questa corsa a chi è più bravo e veloce a denunciare la situazione di un ambiente compromesso e della precaria salute dei concittadini. Tutti vogliono e chiedono i dati, le analisi. È un continuo rincorrersi di dichiarazioni, di esposizioni mediatiche, di mettersi in mostra. “Apriamo l’AIA” è il grido di battaglia che viene da questo e da altri pollai, appunto, dell’aia cittadina. Non sarebbe più saggio, e meno spettacolare, trovare un sistema per non prendere più le pillole, stracciare la ricetta e trovare una cura alternativa: contare le pecorelle, sbattere la testa al muro, tornare ai suffumigi. Chiudere la farmacia. Un altro effetto collaterale riguarda il rapporto fra l’istituzione comunale e il cittadino che, in questo caso, sarei io. Ho scoperto, leggendo il Corriere delle Sera, che il Comune della Piccola Città ha speso per me 2168 euro in un anno. Non è stata una sorpresa, piuttosto un’amara conferma, perché dalle mie tasche di soldi ne sono usciti anche di più, senza nessuna contropartita. Questa statistica, che riguarda una serie indagine nazionale, ha provocato alcuni pericolosi effetti collaterali che rischiano di farmi abbandonare l’abituale comportamento di cittadino che rispetta le regole e passare sulla sponda molto affollata di chi non lo fa. Dove finiscono i miei, i nostri soldi? Forse nella voragine che ho sotto casa da quattro mesi con relativa perdita d’acqua, nella raccolta dell’immondizia che non c’è proprio, nei giardini discarica-roveto-piante secche? O forse nella sistemazione delle stesse strade, diventate un percorso di guerra senza fine da casa mia alla Coop, a san Liborio, alla zona industriale, che devi andare a passo d’uomo se non vuoi buttare la scattante utilitaria di Marchionne? Ma intanto ho pagato e continuo a pagare. A chi? Per che cosa? E gli studenti di Palazzo del Pincio, che combinano? Non avranno i giornaletti nascosti sotto il libro delle versioni? In questi giorni si è alzato il grido dall’allarme dei portuali che rischiano di essere cancellati per decreto. Mal di pancia e un bel correre al gabinetto: è un effetto collaterale legato all’uso della medicina made in Usa che si chiama globalizzazione. Magari sarà stato frantumato il muro di Berlino, solo un po’ più resistente di Porta Pia, magari sarà stata buttata giù la cortina di ferro e debellato il male, tutto il male del mondo. Ma il medico a stelle e strisce deve avere sbagliato la cura, di proposito o per incapacità. Così anziché un mondo con fiumi di latte e miele è arrivato il casino delle guerre senza fine e senza soluzioni, e dai venti dell’otre aperto a est si è scatenata una tempesta. Tante braccia da lavoro da pochi euro davanti ai bar in cerca di un caporale: come nell’Ottocento delle lotte dei portuali. Pere neozelandesi, pomodorini pachino egiziani, merlot cileni e, l’esodo dalla cortina, dopo la trionfale Porta Pia delle steppe con benedizione e sponsorizzazione pontificia. Braccia pronte a rovesciare le tavole imbandite dei portuali della Compagnia, come quelle degli imbianchini, muratori, idraulici che da tempo hanno conquistato il mercato del lavoro modello americano con buona pace del duo Sanremo Camusso-Landini. Gli spasmi gastrici si fanno sentire, eccome, nel fortino con orologio di piazza del Mercato. Remote, impensabili le folle operaie delle lotte e delle manifestazioni anti-Prandini in quest’epoca di Suv.