Ad un mercatino di beneficenza, nei saloni del suo palazzo una nota nobildonna romana si avvicinò con aria complice ad uno dei suoi illustri ospiti, il conte Giuseppe Primoli, mostrandogli e offrendogli alcuni preziosi volumi, finemente rilegati. Il conte che, oltre alla discendenza napoleonica, vantava la giusta fama di pioniere della fotografia, di attento collezionista di opere d’arte e di libri, con molto garbo e altrettanta decisione ringraziò la padrona di casa e, alla sua malcelata espressione di delusione, rispose: “La ringrazio, contessa, ma io mi prendo questi qui!”. Erano alcuni volumi, per la verità un po’ malconci, appartenuti a Stendhal, che contenevano le note, le postille, i celebri marginalia dello scrittore francese.
Questo aneddoto che mi fu raccontato con gusto dal professor Colesanti con quegli stessi libri in mano, in uno dei miei incontri nel Palazzo di via Zanardelli, sede della Fondazione Primoli, mi è venuto in mente per una raffronto, per la verità un po’ lontano nel tempo e nella materia. Ho passato queste feste di Natale a Roma, in famiglia, fra le squisitezze della giovane cuoca e le attenzioni del suo compagno, conversazioni molto interessanti, qualche breve passeggiata, perfino una tombola d’altri tempi con una specie di sfida fra i significati dei numeri della tradizione della Piccola Città e quelli della Roma del Belli. Come passare il pomeriggio di santo Stefano? I giovani della compagnia hanno suggerito un’immersione collettiva nella rivisitazione di Guerre Stellari: grande schermo, dolby, poltrone speciali con poggiatesta. Perché no? Così, in una decina di minuti di macchina, siamo arrivati nell’altro mondo: quello, per tornare al conte Primoli, dei libri dalla rilegatura preziosa e ricca di dorature. The Space Cinema ci ha accolto con il suo parcheggio sterminato, fitto all’inverosimile di auto appiccicate le une alle altre che per trovare un posto con i nostri due mezzi a quattro ruote abbiamo percorso alcune orbite, prima di arrivare a dama. E poi, ci è apparsa come una visione, fra negozi e rivendite sfavillanti, con il popolo dei visitatori in fila come all’aeroporto, a guardare i titoli dei film e gli orari delle diciotto sale con i cinepanettoni sicuramente fra i voli più richiesti: Vacanze ai Caraibi, Natale col boss, Prof. Cenerentolo, alcuni cartoni animati, fra cui il vecchio Alvin che seguivo sul piccolo, allora era piccolo, schermo tv. Confesso che, dopo l’iniziale entusiasmo, soprattutto per la piacevole compagnia, ho avuto una specie di blocco mentale, di rifiuto verso l’ingresso della sala, affiancato, un po’ spintonato, sicuramente sgomitato dagli altri spettatori con in mano il menù proposto dallo Space per gustare in modo supremo il film, con sottobraccio un mezzo fustino dash o dixan di pop corn. La consolazione, oltre alla spettacolarità delle immagini, con il dolby a dir poco a palla, è stata nel rivedere vecchi amici come Han Solo e la principessa Leila anche loro con i segni dell’età ben visibili. Che dire? Un pomeriggio diverso, inaspettato, ma come il conte, nel caso mio rivolgendomi a me stesso, mi sono detto: “Grazie per questo mondo da favola, ma mi tengo i Salesiani!”. Non è questo mio un provincialismo da quattro soldi, e neppure lo Strapaese di Mino Maccari, Orco Bisorco, con l’esaltazione del Selvaggio (“salvatico è chi si salva”) e della realtà contadina dell’Italia degli Anni Trenta del Novecento, contrapposta alla moderna Stracittà di Bontempelli e Malaparte. È una dimostrazione d’affetto sincero per la Piccola Città con tutti i suoi, tanti, difetti, ma con un mondo che puoi ancora toccare con mano, sentire e percepire nel profondo. Così, magari il sabato e la domenica, ti fai quattro passi fra la Baccelli e via Buonarroti, arrivi ai Salesiani, ti intrattieni con il gestore bigliettaio del cinema, scambi qualche giudizio e vieni informato sulla programmazione, incontri amici e conoscenti, spesso gli stessi, quasi sempre allo stesso posto nella comoda platea, che sono lì non per ingannare il tempo, ma hanno scelto proprio quel film, e ti godi le tue due ore in pace, senza interminabili, fastidiose pubblicità e l’intervallo pop corn. Questo senza denigrare l’altro mondo delle file, dei posti ad esaurimento, del gnam gram che, a volte, supera il sonoro. Teniamoci, dunque stretta, la Piccola Città: le file da otto-nove persone alla posta, il parcheggio sulla trincea che al terzo giro riesci ad infilarti, qualche improperio alle rotonde per un intasamento che dura briciole di minuti. Di questi doni, in tempi di regali e di bontà, dovrebbero tenere conto i governanti, scelti dal popolo che chiede soltanto: “Vi abbiamo messi lì perché vorremmo vivere bene, benino, non diciamo benissimo perché non siamo stupidi e sappiamo che proprio non si può; ma almeno nella calza della befana fateci trovare due noci, un mostacciolo, un rigulizio: per non irritare la vostra suscettibilità, non vi chiediamo la toppetta zuccherata, di carbone”.