In uno degli scontri serrati fra padre e figlio, che caratterizzano il film “Che ora è?”, il padre Marcello-Marcello Mastroianni, in modo volutamente provocatorio e sprezzante, chiede al figlio Michele-Massimo Troisi che cosa ci trovi di bello e di interessante nella nostra Piccola Città. Per Ettore Scola il riferimento era ovviamente generico, riguardava la scelta di una cittadina di provincia, dalla vita tranquilla, fra persone che ti conoscono e ti salutano: ti fanno star bene. E questo è Civitavecchia.
Fuori luogo, e fuori di testa, il proclama di lesa civitavecchiesità che qualche benpensante, spalleggiato da un foglio amico e parentale, urlò contro il grande regista che, invece, nel suo lavoro esaltò il fronte del porto con il bar fumoso, ricco del profumo dei liquori e del caffè, dell’umanità dei portuali che il compagno Ettore conosceva molto bene. Come conosceva la Piccola Città che, mi confessò in un’intervista concordata con l’Unità, diretta allora da Massimo D’Alema, scelse perché cercava una città di mare, che avrebbe potuto essere per assurdo New York o Genova, ma che a Civitavecchia c’era stato tante volte, fin dai tempi dei sopralluoghi del “Sorpasso” di cui aveva curato la sceneggiatura coll’inseparabile Ruggero Maccari e Dino Risi. Un po’ come il giovane Michele-Troisi, militare di leva alla caserma Piave (primo ciak esterno giorno con Marcello Mastroianni il 13 febbraio 1989 a cui assistetti con trepidazione), che nelle ore di libera uscita si abbandona alla normalità del viale, del corso, del cinema Galleria, ai caffè che prepara nel bar del porto, che sta bene in questo piccolo mondo di figure e figurine col mare sempre presente, come il soldatino Michele vorremmo si sentissero gli abitatori della Piccola Città. Certo dai tempi del film sono cambiate molte cose: non c’è più il porto storico, la Taverna della Rocca, il Bingo ha preso il posto del cinema Galleria del vulcanico Mario Sermarini, proprio nel film diede gli ultimi segni di vita la mitica Trattoria del Gobbo, ma è rimasta la sostanza, quel piccolo mondo ogni giorno amato e stramaledetto, da cui tutti vorrebbero scappare, ma che poi ti cattura con le sue pigre giornate, i capannelli al viale e al mercato, le piccole dispute in fila agli sportelli, il vociare scomposto fra le quattro mura di un ufficio, di un bar. E i sassi lanciati verso lo spumeggiare del mare prima con rabbia poi per gioco. “Città di Civitavecchia” dice lo striscione con le facce gioiose, festanti delle ragazze e dei ragazzi che hanno dato linfa alla Marcia: la Marcia per la salute. Un corteo composto e variopinto, si dice nel gergo giornalistico, per ricordare che la Piccola Città non gode di buona salute, anzi. Ha pagato i suoi ticket, si è sottoposta con pazienza alle varie TAC, risonanze, ecografie, analisi, e i medici, gli specialisti, ogni volta, storcono la bocca: non va. È tutto il corpo che ha bisogno di una cura da cavallo per essere risanato. Tanti, troppi malesseri: il lavoro che non c’è; le gravi carenze dei cosiddetti bisogni primari come acqua, igiene, rifiuti, strade disastrate; l’inquinamento. La Marcia ha voluto rilanciare con forza l’allarme di una comunità troppo spesso sonnolenta e fatalista, per combattere una situazione divenuta insostenibile. Perché il male c’è, i suoi effetti si conoscono, ci vuole una svolta. Imbocco la pericolosa strada della retorica, del bla bla bla. Ma che altro dire, se non riporre la fiducia, quella che rimane, nei giovani che hanno dato forma e immagine al corteo? Molte le vecchie glorie, i reduci di tante battaglie coi polmoni sazi dei fumi del vecchio porto delle navi in città, del più grosso gruppo energetico d’Europa, del traffico che cresce, sempre con la vecchia mediana e i viali. Sorride Giancarlo il tedoforo delle Olimpiadi di Roma, rosso rosso di Servire il Popolo, poeta dialettale graffiante della Garufeide, fine poeta in questi ultimi decenni, e al microfono di TRC Giornale esprime con la sua voce flebile e tagliente la speranza di tutti noi: che i giovani non si fermino alla gioiosa manifestazione di un venerdì mattina, ma che continuino la battaglia, magari si allontanino un po’ dai cellulari e si dedichino all’impegno civile, alla lotta. Perché gli “eroi” sono stanchi: lontane le stagioni del No al passaggio delle scorie nucleari dal nostro porto con l’ammiraglia di Greenpeace Syrius in azione, del No al nucleare a Montalto, dell’incatenamento del nostro tedoforo con Athos de Luca sulla passerella della vecchia centrale di Fiumaretta, a ridosso dell’Aurelia. Ma, attenzione, la salute s’intreccia con il lavoro. Le ultime notizie non sono confortanti, la Piccola Città potrebbe finire, in un metaforico pronto soccorso, in codice rosso con i lavoratori della Bilab e dell’Osservatorio Ambientale, che da vent’anni marciano anche loro per la salute, messi in mezzo a una strada dal sindaco in marcia con fascia tricolore.