Le gite fuoriporta ti aprono i polmoni e danno forza alla fantasia del cambiamento, interrompono la cantilena, la tiritera della vita di tutti i giorni. Figurarsi di questi tempi, e in questa nostra Piccola Città. Così anche una breve fuga, di qualche giorno, in parenti, come si dice dalle parti del Po, fa bene alla salute e stimola i pensieri, quelli buoni, positivi. Torna il sorriso e l’ottimismo. Ma poi, anche se è piacevole ritrovarsi a casa, fra le tue abitudini, le tue cose, quello che rovina la festa è il piccolo mondo che gli sta intorno, fuori della porta di casa, già dalla prima rampa di scale, dal portone in poi.
Per dire che passare qualche giorno a Livorno è stata un’esperienza per certi versi sorprendente, perché ci aspettavamo una realtà non proprio uguale, ma simile alla nostra: il porto, le navi, tutto il contorno di una città industriale che vive dello scalo. Invece abbiamo trovato il nord, quello delle città ordinate, pulite, magari ricostruite con gusto e intelligenza dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. In questo caso non c’entra la sindrome del turista a tempo che vede e non vede, magari viene colpito dalle apparenze, fuorviato dall’eccitazione della vacanza. Parlo di strade felicemente asfaltate, di un lungomare curato, dei cassonetti dell’immondizia differenziata immacolati e senza il controno di porcherie al seguito, degli scopini che si muovono di prima mattina con dei furgoncini e ripuliscono con buona lena muniti di scope adatte all’uso strade, stradine e parchi. E parlo, perché credo che almeno i morti andrebbero onorati, anche di un cimitero, quello della Misericordia, che è un gioiello di architettura: pulito e ordinato con i suoi filari di cipressi e un ampio parcheggio. E trovo, a due passi dall’albergo, che le antiche strutture del porto mediceo sono state incorporate e rivitalizzate da nuove costruzioni e che i lavori proseguono a pieno ritmo, integrando l’antico con il moderno. Qui mi fermo alle impressioni, agli scatti fotografici del momento. Ma percorrendo a ritroso in auto, da passeggero, insieme a una festosa compagnia, l’autostrada fino a Rosignano sento già da Grosseto la diversità che si riaffaccia. Gli incroci a raso, le strettoie, le lunghe file appresso a un camioncino, buche e dossi: tutte medaglie e medagliette che adornano il petto eroico dei No qua e No là, compresa l’autostrada. Anche a occhi chiusi capisci che ha ripreso la strada di casa. E quando arrivi magari senti l’amico Maurizio che ti informa con disincanto, e un po’ di rabbia, che a pasqua e pasquetta le torme di crocieristi hanno trovato le saracinesche dei negozi chiusi. Che dire? La solita operetta stantia, da quattro soldi, cantata male e accompagnata peggio. È così. È questa la Piccola Città che ritrovi nei giudizi dei viaggiatori dell’Ottocento e, magari, sfogliando le pagine di un foglio di valore e poco fortunato, sicuramante laico come l'”Antimurale”, non a caso Anti, di Espartero Melchiorri. Prima pagina di sabato 9 gennio 1960, qualcosa come Cinquantasette anni fa, Baldomero nelle sue impressioni sulla bella e d’incanto scriveva: “Abbiamo congenita la predisposizione ad eccellere nella facoltà dell’indolenza e ognuno di noi conseguirebbe la laurea sicuramente con lode e, se non costasse alquanta fatica, anche l’autorizzaione a pubblicarla”. E più avanti: “Solo in un caso siamo prontissimi a dimenticare la nostra predisposizione e le nostre non certo pregevoli doti: ed è quando si tratti di distruggere qualche cosa che qualcuno di noi, soltanto di noi, tenti più o meno palesemente di costruire”. Baldomero prosegue e descrive con un linguaggio diretto e tagliente l’arcaico vizio, il gusto di sempre: “È un lavorio assiduo, indefesso, incessante, recondito, subdolo, come quello fatti conto delle tarme che in un battibaleno ti insidiano e ti rovinano un armadio e tutto il contenuto”. E le tarme in questo caso sono quelle che stanno distruggendo sistematicamente il tentativo di costruire le terme. Un tormentone che negli anni ha sempre trovato nuova linfa e tante chiacchiere e, soprattutto, un percorso ad ostacoli con “torme di tarme contro le Terme” per dirla con Baldomero e con il gioco di parole “peculiare dote dei concittadini”. Chiacchiere, tante, e il puntuale impallinamento di chi vuole agitare le acque dello stagno puzzolente. Le ritrovi, sempre sull'”Antimurale”, a pagina 2 del numero uscito l’ultimo dell’anno del 1959, in cui le Terme, di cui si parla con insistenza, anche in quel periodo, sono una chiara metafora della pigrizia, del dolce far niente della Piccola Città di allora. Scrive Menippo: “Tutti ne scrivono e ne parlano dal tempo del peccato della mela. I più esperti in materia ti sanno dire come, cognome e soprannome delle sorgenti e, cosa formidabile, persino la temperatura delle acque!”. E prosegue con sacrosanto sarcasmo ricordando come “mucchi di galantuomini si sono spesso riuniti attorno a tavole imbandite, e tra una portata e l’altra di pietanze succulenti, uno domanda: com’è l’acqua della Ficoncella? E tutti in coro: Miracolosa!”. Il finale dell’articolo è all’insegna del lucido pessimismo: Menippo aggiungerà il suo opuscolo sulle proprietà miracolose delle acque termali a quello “di tutti gli sfaccendati alla ricera di effimera notorietà” e non vorrà mai più sentire parlare di Terme e di Ficoncella. È chiaro infatti che dopo tante chiacchiere insulse è arrivato il momento di “cacciare i soldi”, ma è più comodo e dà più soddisfazione parlare, scrivere, conferenzare, arringare e stampare a più non posso, ma “in verità non ci crediamo”. Ho preso a prestito queste considerazioni perché sono lo specchio di una realtà, di un sistema che, in questi decenni, si è rafforzato, e non riguarda ovviamante le sole terme. Di esse si è continuato a conferenzare e stampare anche dopo gli Anni Sessanta e in quelli più vicini a noi e, miracolo, c’è lì, in collina, la scenografia da film delle cosiddette nuove terme che sono un po’ come lo scheletro inquietante della Privilege a bordo mare. Un’incompiuta con gli abitatori della Piccola Città che amano, in fondo, la primitiva arte d’arrangiarsi e, ricordate?, hanno dato vita al fenomeno delle vasche da bagno termali con tubi bucherellati per salutari docce. Che dire? Va bene così. Mettiamoci una pezza come sulle buche delle strade, e crogioliamoci nella litania vittimistica delle distruzioni dei bombardamenti, della prepotenza degli altri, magari dei livornesi e del loro porto. Si campa anche così, anche se sarebbe salutare una gita proprio a Livorno, magari con capocomitiva l’assessore al ramo, per dare un’occhiata al mercato coperto di via Buontalenti. Ma qui, come scrivevano Menippo e Baldomero, si preferisce disquisire sullo scippo dell’intitolazione della salitella di via Piave.